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Diritto di critica | December 22, 2024

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Azzardo caccia crisi? Il pericoloso boom delle sale da gioco

Poker, slot machine, scommesse e videolottery di ultima generazione: l’ultima speranza per chi è disperato o non sa come pagare le spese sta diventando sempre più l’Eldorado per chi decide di aprire una sala giochi. Ne stanno nascendo ovunque in tutta Italia, temibili specchietti per le allodole e, insieme ai negozi di compravendita dell’oro, inequivocabili segnali di crisi economica, già visti in Spagna e Grecia. I recenti provvedimenti decisi dal Parlamento per contrastare il fenomeno del gioco d’azzardo, live o on line, sono stati per ora un fallimento: prorogata a fine giugno 2013 la limitazione della pubblicità dei giochi voluta dal Ministro della salute per contrastare la dipendenza da macchinette e puntate. Il Decreto Balduzzi, approvato a fine ottobre, prevede anche il divieto dei giochi on line nei pubblici esercizi e alcune misure per tutelare i minori, ma è stato notevolmente ridimensionato rispetto alla stesura iniziale. E già a fine gennaio partiranno le gare per l’apertura di nuove sale da poker su tutta la Penisola. Lo scontro tra il Ministero (che ha parlato di “lobby del gioco”) e Confindustria (che difende invece il lavoro degli operatori del gioco legale) terrà banco forse ancora nei prossimi mesi, ma di fatto il mondo del gioco d’azzardo sta avendo un impatto sempre più forte nelle vite dei nuovi poveri, in quelle di chi è già malato di ludopatia e nel sistema economico italiano.

I numeri. Basti pensare che nel 2011 il gioco d’azzardo legale in Italia ha fatturato nel complesso 80 miliardi di euro, di cui il dieci per cento finisce nelle casse dello Stato; in pratica, si tratta della terza industria italiana (dopo Eni e Fiat), nella quale lavorano più di 120mila persone. Si va dai colossi di giochi a premi e scommesse Lottomatica e Snai, fino ad altre società che fanno riferimento all’estero (la Sisal, per esempio, ha la proprietà in Lussemburgo) e la cui composizione aziendale è meno chiara. Senza dimenticare l’ombra della criminalità organizzata, da sempre abile nel fiutare i business, su piccoli e grandi centri. Nell’ultimo anno il volume d’affari attorno al settore è aumentato, spinto anche, come già detto, da una crisi economica tangibile che porta molte più persone a tentare la sorte. Solo per i giochi on line nei primi otto mesi del 2012 sono stati spesi 56,9 miliardi di euro, oltre il 17 per cento in più rispetto al 2011.

La battaglia dei sindaciL’invasione di sale da gioco nelle città italiane (è sufficiente guardarsi intorno, spesso sorgono al posto di bar o ristoranti falliti) non è stata comunque esente da critiche e petizioni da parte di cittadini e sindaci. A Genova, Pavia, Venezia, Reggio Emilia e Vicenza è guerra aperta: «Non si può andare avanti così – si lamentano i primi cittadini – le persone si rovinano perché non riescono ad uscire dal vortice del gioco, lo Stato in tutto questo dov’è?».

Un circolo vizioso. E qui balza all’occhio il grande paradosso della questione: l’erario statale si rimpolpa grazie alla percentuale sui giochi a premi, lo Stato non ferma il proliferare del fenomeno (alla Ragioneria generale hanno spiegato che prorogare le gare per l’apertura di nuove sale da poker avrebbe implicato minori introiti, e quindi una difficoltà per il Bilancio), ma nello stesso tempo la sanità pubblica dovrà poi spendere nuovamente per garantire assistenza ai malati di ludopatia. D’ora in avanti, infatti, i quasi due milioni di malati in Italia (tra casi gravi e più lievi) potranno essere curati nei centri di recupero delle Asl, dato che la patologia da gioco d’azzardo è stata riconosciuta e inserita nell’elenco dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) del Servizio Sanitario Nazionale.

Le aziende che fanno parte del Sistema Gioco Italia promettono di metter mano al codice di autodisciplina, regolando gli spot pubblicitari con avvertenze sul rischio del gioco e nuovi messaggi che indichino la reale probabilità di vincita, ma presto si potrebbe arrivare ad un vero e proprio bivio, ovvero scegliere tra guadagno e sanità sociale, tra il “limitare i danni” o promuovere un reale cambiamento culturale nei confronti del gioco d’azzardo.