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Diritto di critica | November 20, 2024

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Quell' "usato sicuro" che piace tanto agli italiani

La vittoria dell’ “usato sicuro” di Bersani. Poi il trionfo di Fassina a Roma e di Rosy Bindi in Calabria nelle primarie dei parlamentari. Il Pd ha finalmente una linea. Un ritorno al passato. Insomma, un partito che si rigetta nel solco dei vecchi Ds, lasciandosi alle spalle una volta per tutte quell’eredità veltroniana che profumava di nuovo. Si salvano le primarie, anche perché questa volta hanno dato un vantaggio notevole all’ “apparato”, e si salva una vocazione maggioritaria, pur se destinata a scontrarsi con la discesa in campo di Mario Monti. Tutto il resto al macero.

Ritorna l’ortodossia. Un ritorno al passato che riporta il Pd a considerare la Cgil un referente politico privilegiato ma che dimentica di strizzare l’occhio alle piccole e medie aziende che sono la colonna portante di questo paese. Bersani si ricorda degli operai della Fiat e del Sulcis, ma tralascia di identificare una soluzione per i precari (i veri proletari del terzo millennio) e per la disoccupazione giovanile. Insomma, il Pd, nato per parlare “a tutti”, da oggi torna a parlare ai soliti: c’è la Cgil, c’è la classe media impiegatizia (dove trova gran parte dei propri voti), c’è il mondo delle cooperative.

La scalata dei giovani “vecchi”. Con le primarie sono cambiati i volti, non le idee. Stefano Fassina, giovane (ma non troppo, visto che ha 46 anni) e laureato in Economia alla Bocconi, punta a conservare il modello attuale: welfare e difesa del posto di lavoro. Tra le sue idee e quelle di Nichi Vendola sull’economia non ci sono praticamente differenze. In pratica Fassina (e la stragrande maggioranza del partito) ritiene importante difendere un modello che in Italia c’è già e che ha dimostrato tutta la sua fragilità di fronte alla crisi. Il welfare – tra i più “costosi” del mondo – ha dimostrato di essere oggi iniquo. In primo luogo perché difende alcuni cittadini, lasciando soli gli altri. In secondo luogo perché non sostiene i giovani.

Difendere un mercato del lavoro fallimentare. Il Pd di Bersani e Fassina, poi, difende le regole di un mercato del lavoro che ha prodotto – proprio per colpa di una riforma “zoppa” messa in atto dalla sinistra negli anni novanta – un dualismo ingiusto per il quale, al di là dello stipendio percepito, esistono lavoratori iper-garantiti e lavoratori senza alcuna tutela.

Fare qualcosa di sinistra. Cosa? Insomma, il “nuovo” Pd di Bersani e Fassina difende il vecchio. Sarà per questo che Pietro Ichino, una risorsa importante dei democratici, ha deciso di lasciare il partito, proponendosi di seguire l’Agenda Monti. Lui, che propone un nuovo unico modello di contratto di lavoro con garanzie crescenti e un nuovo welfare che non difenda a tutti i costi il posto di lavoro ma che sostenga chi ha perso il lavoro e metta in atto degli strumenti che garantiscano il reinserimento, non ha più spazio in un partito che “guarda a sinistra”. Ma qui il concetto di sinistra c’entra ben poco: perché capire oggi cos’è “di sinistra” è opera alquanto complessa. Lo stesso Ichino ha messo in evidenza la vera contraddizione: “Questa è la sinistra che ha difeso l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, come chiave di volta della protezione della dignità dei lavoratori. Il fatto che si applicasse a meno della metà degli italiani era un dettaglio che la stessa sinistra ignorava. Una norma vecchia di 40 anni che, non adattandosi al tessuto produttivo in evoluzione, ha prodotto effetti diametralmente opposti a quelli che si prefiggeva, causando dualismo e segregazione”. Così Ichino alla fine ha seguito Monti: “Lui è, su molti aspetti, più a sinistra di Bersani”.

Conservatori vs. riformisti. Non è, quindi, un problema di sinistra o di destra. La discesa in campo di Renzi prima e Monti dopo ha messo in luce la vera questione: scegliere di cambiare o difendere lo status quo. E non sono sufficienti due giorni di primarie natalizie per pensare realmente di aver rinnovato il partito. L’ingresso di giovani tra le liste non coincide affatto con il rinnovamento. La vera battaglia trasversale in tutti gli schieramenti è tra chi vuole rischiare e chi guarda indietro per trovare soluzioni. E non c’è al momento un partito che riesca a guardare avanti. Da queste primarie del Pd – che, bisogna riconoscere, è l’unico partito che ha utilizzato uno strumento (relativamente) democratico per la definizione delle liste – è emersa una posizione conservatrice. Altro che progressisti, altro che riformisti. Ora il vero rischio, in un paese conservatore come il nostro, è che il cambiamento non ci sarà.

twitter: @PaoloRibichini

Comments

  1. PaoloRibichini

    In pratica lei difende lo stato attuale, visto che l’articolo 18 è stato appena sfiorato dalla riforma Fornero e il welfare italiano è piuttosto iniquo. E non lo dice Paolo Ribichini, ma i dati macro-economici e sociali. L’Italia è tra i paesi che, con il nostro bel welfare che Mario Monti vuole cambiare ma che finora non ha di fatto toccato, abbiamo uno dei tassi di disuguaglianza sociale più alti al mondo. Non solo. Paesi che non hanno l’articolo 18 hanno stipendi più alti (o salari, che piace di più a una certa sinistra), una produttività superiore e un tasso di disoccupazione molto più basso del nostro. Lei (o voi) sta difendendo tutto questo. Mi fa piacere