Monti e quel Centro piccolo piccolo che spaventa tutti
Nessuno sa ancora in che modo, ma è sicuro che Mario Monti alle prossime elezioni ci sarà e non sarà il federatore di tutti i moderati. Come dire: un premier per molti, ma non per tutti. La mossa – quale che sia la forma in cui si concretizzerà una volta dismesse le vesti super partes – non è piaciuta né a sinistra, né tanto meno a destra. In questa legislatura che finisce con i peggiori veleni dell’ultim’ora – vedasi il dl sui condannati in via definitiva che mina le liste pulite, o quello sulle firme per la presentazione delle liste con l’emendamento “salva La Russa”, che salva anche centristi e i finiani – Mario Monti, senza aver ancora dato l’annuncio ufficiale, sta creando non poche fibrillazioni. Ad indicarlo sono le esternazioni di Pierluigi Bersani e ancor più quelle di Silvio Berlusconi che a Monti aveva spalancato le porte del partito e adesso se le vede sbattere violentemente in faccia.
Nessuno dei due leader ha ancora imbracciato l’artiglieria pesante, ma visto che la battaglia si avvicina, entrambi hanno cominciato a caricare il fucile. “Non credo che faccia bene all’Italia costruire formazioni politiche attorno alle persone”, ha detto, tradendo una certa irritazione, il leader del Pd: “noi siamo stati lealissimi con Monti, francamente non avremmo immaginato una contesa. Se è così non abbiamo nessuna difficoltà”. Addirittura d’accordo con D’Alema (aveva definito “immorale” una discesa in campo del premier), invece, Berlusconi: “rimarrei assolutamente sorpreso se ci fosse una partecipazione ad una campagna elettorale di Monti. Sarei d’accordo, forse per la prima volta, con D’Alema”. L’ex premier finge di non credere ancora ad un Monti a capo dei soli centristi, “questi partitini del centro che stanno corteggiando Mario Monti dimostrano sempre di più come si assottiglia la loro consistenza. Quindi invito gli elettori a non disperedere il voto su questi partitini che rispecchiano solo gli interessi dei loro piccolissimi leader e fanno vincere la sinistra”.
Certo che per il Cavaliere vedere l’uomo a cui era pronto a consegnare le chiavi del Pdl correre tra le braccia di “due persone orride, anzi, orridissime” (così li ha definiti da Vespa) come Casini e Fini è inconcepibile, “non sarebbe un interesse neanche di Monti diventare un piccolo protagonista partendo dal suo ruolo di “deus ex machina” nel quale si era imposto”.
Un protagonista piccolo, piccolo. Questo il futuro di Monti secondo il Cavaliere. Ma svilire Monti è un passaggio obbligato per Berlusconi. La camera di compensazione utile a preparare “il piano b”: l’attacco. Che, come è ormai chiaro, arriverà e sarà durissimo. Un piccolo assaggio va in onda già ai microfoni di Radio Rai: “la politica dell’austerità porta alla recessione e alla depressione. Bisogna cambiare completamente la politica economica. Andando avanti così i nostri Paesi saranno costretti a uscire dall’Euro perchè altrimenti si voterebbero al fallimento e al default”. E poi ribadisce “forse abbiamo sbagliato a non farlo cadere prima”. Ma non era l’uomo giusto a cui rifarsi per portare l’Italia fuori dal guado? Non era proprio all’artefice di quelle politiche fallimentari che Berlusconi pensava per palazzo Chigi? Acqua passata, anzi, adesso il Pdl dovrà distinguersi dai centristi in ogni modo, ma per questo Berlusconi è pronto alla sfida in tv e anche a più di una.
L’ennesima giravolta del “caimano” non nasconde la sua preoccupazione. Monti può togliere voti e finire per aiutare la sinistra, senza contare che su di lui si può concentrare il voto cattolico. Un mondo, quello cattolico, con cui i rapporti – tra bestemmie, gaffe sulla sua condizione di divorziato e risposato, aperti contrasti con i più alti vertici d’oltre Tevere, polemiche con i giornali cattolici culminate con il killeraggio del “caso Boffo” e gli scandali sessuali D’Addario e Ruby su tutti – non sono mai stati facili, ma dal quale, anche volendo, non si può prescindere.
Ed ecco allora la “conversione”. Dalla ventilata Forza Italia 2.0, partito laico basato sull’idea berlusconiana che in politica il voto cattolico conta fino a un certo punto, si arriva al richiamo diretto alle gerarchie ecclesisastiche. Un’esplicita indicazione di voto condita da una minaccia “Credo che l’influenza della Chiesa sia assolutamente presente, auspico si ricordi cosa abbiamo fatto per la Chiesa negli anni del mio governo e si tenga presente cosa farebbe la sinistra se andasse al governo”. Un modo per dire ricordatevi di noi, della legge sul comodato d’uso gratuito concesso alle chiese sui beni mobili e immobili dello Stato, del decreto del 2005 che prevedeva la pressochè totale esenzione dall’Ici, dei finanziamenti mai tagliati alle scuole cattoliche, del decreto “salva Eluana” – per il caso di Eluana Englaro bloccato sul nascere da Napolitano – seguito dalla battaglia per una legge su “testamento biologico” e fine vita, del no secco ai matrimoni e alle unioni gay.
Una frecciata che non è piaciuta affatto. Parole che in Vaticano sono suonate come l’ennesima volgarità di un uomo ormai allo sbando. Non meno forte la risposta indiretta di Mario Monti. Giunta dalla Fiat di Melfi dove ha trovato l’endorsement di Sergio Marchionne, tra gli applausi dei metalmeccanici e con la Fiom lasciata fuori dai cancelli. Il professore riesce a ricucire con la Fiat e l’ad volta pagina annunciando un miliardo di investimenti. Un risultato politico e d’immagine enorme per Monti. Con quello che rappresenta la Fiat a livello di storia industriale e forza mediatica. Soprattutto dopo la sua uscita da Confindustria. Un’altra investitura di quelle che contano, trasversali e internazionali. Un’intesa quella con Marchionne – il manager che ha dato un importante contributo per la vittoria di Obama – che, più che a un piccolo centro, guarda oltre oceano.
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@italianocerto:disqus pensi veramente che siccome i soldi ce li ha lui non verrà a gravare su di noi facendo i suoi interessi?Mi sembri un illuso.
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