Scuola, troppi precari per la stessa cattedra - Diritto di critica
321.210 aspiranti insegnanti per 11.542 posti. E’ un’arrembaggio disperato quello dei candidati al concorso della Pubblica Istruzione per assumere professoresse e maestri di ruolo: in 27 si contendono una singola cattedra. Il terrore di non passare, e rimanere precari altri tredici anni è forte – il Miur ha indetto l’ultimo concorso nel 1999. A tentare il tutto per tutto ci sono pochi giovani neolaureati e tantissimi supplenti: l’età media è di 38,4 anni.
Da dove saltano fuori i posti? Stupisce anche il numero di posti in “palio”. 11mila cattedre in attesa di insegnanti di ruolo sembrano un’enormità: fino al giorno prima della pubblicazione del bando, nessuno ne sapeva l’esistenza. Anzi, le graduatorie a concorso e ad esaurimento erano lunghissime, e voci di esubero circolavano a tutti i livelli. Non solo. Il numero di studenti per classe è stato progressivamente aumentato, negli ultimi anni: così come le ore di insegnamento per singolo docente. La direttiva del Ministero era semplice: tagliate il numero dei docenti. Non possiamo permetterceli. Ora invece, ecco che si scopre che erano troppo pochi. Testualmente, sul bando si legge che “il Miur procederà a tali assunzioni per rispondere alle effettive esigenze del sistema scolastico, nell’ambito del piano triennale 2011-2013”. Una necessità inderogabile emersa di punto in bianco.
L’identikit dei candidati ci racconta un‘istruzione italiana precaria, spaventata e invecchiata. L’età media è alta, quasi quarant’anni. Le candidate (quasi 250 mila sono donne) hanno dietro le spalle da 8 a dodici anni di precariato, presso ogni ordine di scuola: dalle elementari al liceo. Supplenze giornaliere e mensili, in qualche raro e fortunato caso un’intero anno – per sostituzione in maternità. Una quotidianità precaria che si ripercuote sulla famiglia – laddove si riesce a costruire – e che contribuisce a collocare i docenti tra le categorie più esposte al rischio di esaurimento nervoso (il burn out). L’alternativa lavorativa – dopo un percorso di studi superiore da 6-8 anni – è debolissima. Soprattutto al Sud, da cui proviene il 50% dei candidati.
Un concorso per l’ammissione in ruolo è un’evento biblico. L’ultimo risale al 1999, tredici anni fa. E il precedente circa vent’anni prima. Ecco da dove viene la disperazione – è il caso di dirlo – dei candidati: se non passano ora, a 35-38 anni, dovranno affrontare almeno un decennio di precariato. Per ritentare intorno ai cinquant’anni, a 15 dalla pensione. Viene da chiedersi perché non si effettuano concorsi più frequenti: la popolazione in età scolare non cresce in modo esponenziale da un anno all’altro – soprattutto in Italia – perciò le necessità della scuola sarebbero ampiamente prevedibili. Invece no. Si tagliano cattedre e sezioni per anni, sovraffollando le classi, per poi scoprire che servivano più docenti.
Qualcuno era già dentro. Pochi, pochissimi sono i docenti già di ruolo iscritti alla preselezione – per cambiare cattedra o materia. Ma sono decisissimi: erano stati respinti all’ammissione per incompatibilità con il bando, hanno fatto ricorso e hanno vinto tutti quanti (circa 2000 casi, secondo l’Anief). Insieme a loro, l’altra eccezione al concorso, ovvero i giovani laureati (già ultratrentenni, considerando che per iscriversi era necessario aver finito la scuola di specializzazione postlaurea nel 2006). Troppo pochi, comunque, per “svecchiare” la classe insegnante, come si dice.