La vera innovazione del Pd? Passa dalle "parlamentarie"
Se a destra, in quanto a Tafazzi, sembrano diventati di sinistra, nel Pd c’è ora un grosso dilemma. Come conservare questo grande vantaggio senza rischiare di fare la fine di Prodi nel 2006 che, partito con 20 punti in più, si è ritrovato a vincere per un pugno di voti? Bersani lo ha detto: la strada è l’innovazione. Facile a dirsi, molto più difficile a farsi.
Parola d’ordine: rinnovamento. Renzi ha avuto un ruolo fondamentale nel centro-sinistra e in particolar modo nel Pd. E probabilmente questo ruolo continuerà ad averlo. E ha anche un merito: quello di aver portato al centro del dibattito politico il concetti di “novità” e di “rottamazione”. Se sul secondo termine non tutti possono essere d’accordo, tutti convengono che – anche attraverso il risultato delle primarie – la necessità di rinnovarsi c’è.
Il “vecchio” ora chiede il conto. Ma questo “nuovo” si scontra con il “vecchio” rappresentato dai sindacati e dalla classe dirigente del Pd che hanno appoggiato Bersani in un voto tutt’altro che scontato. Quindi ora il segretario non può semplicemente ringraziarli e “guardare avanti”. E comunque non può farlo da solo. Se Veltroni ha dichiarato di non volersi ricandidare, altri personaggi sembrano non voler abbandonare la poltrona. In primo luogo Rosy Bindi – acerrima nemica del giovane Renzi – ma anche D’Alema che aveva promesso, in caso di vittoria di Bersani, di non ricandidarsi. Oggi, l’ex premier dal baffetto impertinente, sembra cambiare in parte idea: “Aiuterò il Pd fuori dal parlamento”, ha dichiarato domenica sera. Ma già si parla di lui come di prossimo ministro, magari agli Esteri. Ma forse D’Alema punta ancora più in alto, al Colle. Una poltrona, anzi una poltronissima, già prenotata da Mario Monti.
Primarie per i parlamentari. Insomma, un percorso per la modernizzazione del Pd e del centro-sinistra è davanti agli occhi di tutti, ma fa tanta paura. Il percorso è quello delle primarie. Quelle primarie che lo stesso Grillo, dopo averle criticate, le ha inseguite. E proprio in questi giorni il MoVimento 5 Stelle sta decidendo chi candidare in Parlamento attraverso consultazioni via web. Niente di eccessivamente democratico, visto che possono votare solo le persone che usano il pc e la rete e che alla fine quello che conterà sarà l’ordine nelle liste per collegio (che sarà deciso da Casaleggio e Grillo). Ma è già un passo in avanti. Un passo avanti che stuzzica il palato di alcuni “rottamatori” del Pd e che potrebbe ricreare un ponte tra eletto ed elettore, legame reciso dal Porcellum che non prevede il voto di preferenza.
La vecchia guardia rischia. Poiché con molta probabilità si andrà a votare con l’attuale legge elettorale – che fa tanto comodo a Bersani – e quindi non ci sarà la possibilità di esprimere un voto al singolo candidato (tranne modifiche dell’ultima ora), il Pd potrebbe salvare la faccia lasciando ai cittadini la scelta dei candidati per ogni collegio con le primarie. Il candidato con più voti sarà capolista e così a scendere. Ma a quel punto rischierebbero il posto personaggi come Rosy Bindi, Franco Marini (che sembra comunque intenzionato a lasciare), Antonio Bassolino, Enzo Bianco, Pierluigi Castagnetti, Anna Finocchiaro, Marco Follini, Nicola Latorre, Arturo Parisi, Livia Turco, Luciano Violante e Vincenzo Visco. Gran parte di quelle persone che hanno contribuito alla vittoria di Bersani. Un problema non piccolo per il segretario. Ma forse è proprio su questo punto che si gioca la vittoria e soprattutto la scommessa per una nuova politica.
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