Disastro nel Golfo del Messico, multa record per la Bp
“L’11 settembre dell’ambiente”. Così Barack Obama definì, il 14 giugno 2010, la marea nera che stava violentando le coste americane dopo la tremenda esplosione che si era verificata sulla piattaforma petrolifera “Deepwater Horizon”, di proprietà della svizzera “Transocean”, allora affittata alla “British Petroleum”. Dopo due anni, il processo a carico della compagnia petrolifera del Regno Unito si chiude con una sentenza senza precedenti: 4,5 miliardi di dollari di multa.
L’esplosione. Il 20 aprile 2010, al largo delle coste di Venice, in Lousiana, si consuma la tragedia: esplode il pozzo di petrolio che la trivella della “Deepwater Horizon” sta perforando a 1.500 metri di profondità. Ben 11 morti e 17 feriti è il bilancio immediato tra gli operai della piattaforma, mentre al di sotto del mare il foro che si è formato alla sommità del pozzo petrolifero inizia a riversare in mare un’immane quantità di greggio. Due giorni dopo la deflagrazione la “Deepwater Horizon”, in fiamme, affonda nell’abisso.
La soluzione. Il 26 maggio inizia l’operazione “Top Kill”: immissione di fanghi pesanti nel pozzo per ridurre la pressione del petrolio per poi cementare la falla, ma ormai sono già contaminate il 37% delle coste Usa che affacciano sul Golfo del Messico e 228mila kmq di mare sono interdetti alla pesca. Il petrolio continua a fluire, superando i valori del disastro della superpetroliera “Exxon Valdez” del 1989, arrivando a perdite pari a 19mila barili di greggio al giorno. Il 31 maggio parte l’operazione “Cut and Cap”, per posizionare una valvola di contenimento sul foro del pozzo: il 4 giugno l’operazione riesce e la fuoriuscita di greggio diminuisce, ma bisognerà aspettare il 4 agosto per la chiusura definitiva, con un tappo di cemento (operazione “Static Kill”). Dal 20 aprile al 4 agosto sono fuoriuscite circa 900mila tonnellate di petrolio, con danni enormi sull’ambiente e l’economia.
La sentenza. A confermare l’accordo con le autorità americane riguardo la multa comminata dopo due anni alla Bp è lo stesso amministratore delegato della società, Bob Dudley, in una nota ufficiale del 15 novembre. Oltre alla responsabilità di aver causato un inenarrabile disastro ambientale, la posizione della Bp è stata aggravata da due ulteriori elementi: dal fatto che la società abbia ritoccato al ribasso (di circa 12 volte) i dati riguardanti la quantità di petrolio fuoriuscito e dal fatto che un tecnico della “Deepwater Horizon” abbia dichiarato che l’allarme per le esplosioni era stato da tempo disattivato, “per evitare che la gente potesse essere svegliata di notte da falsi allarmi”. La cifra della multa assume così caratteri da “Guinness dei primati”: 4,5 miliardi di dollari, pagabili in cinque anni, più 525 milioni di dollari per altre sanzioni (la Exxon, per il sopracitato disastro della “Valdez”, pagò un miliardo di dollari). Oltre a ciò, pare che due dirigenti della Bp dovranno rispondere di omicidio colposo per la morte degli 11 operai causata dall’esplosione della piattaforma. Nonostante la sentenza, forse sentiremo ancora parlare della “Deepwater Horizon”: la Bp, infatti, in una nota, ha reso noto che farà causa a “Transocean” per ottenere a sua volta un risarcimento di 40 miliardi di dollari.