Torna la tensione nella Striscia di Gaza con l'uccisione del capo di Hamas
Devastazione a Gaza e nel sud di Israele. Nelle ultime 48 ore sono stati lanciati più di 200 missili verso lo stato ebraico. Uno dei razzi sparati da Hamas ha colpito un palazzo a Kiryat Malachi, uccidendo due uomini e una donna, tutti sulla trentina e ferendo un bambino di quattro anni.
I morti di Gaza. La situazione è pesante anche a Gaza con continue incursioni dell’aviazione israeliana su obiettivi militari di Hamas che hanno però causato una ventina di morti e centinaia di feriti tra i civili, inclusi una donna incinta e otto adolescenti. Un bilancio che, purtroppo, è destinato a crescere. Nel contempo carri armati israeliani si stanno ammassando al confine con la striscia di Gaza e attendono l’ordine di entrare.
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La scintilla. Il pandemonio è scoppiato in seguito all’uccisione da parte dell’esercito israeliano del capo dell’ala militare di Hamas, Ahmad Jabari, colpito da un missile mentre si trovava in auto con un collega. Ahmad Jabari, nato a Gaza City nel 1960, inizialmente membro di al-Fatah, divenne successivamente figura di spicco di Hamas. Fu proprio a lui che venne accreditato un ruolo chiave nella violenta imposizione del partito islamista nei confronti di Fatah nel 2007, dopo che il braccio politico di Hamas vinse le discusse elezioni l’anno precedente.
Jabari, l’estremista nemico di Israele. Accusato da Israele di essere a capo del gruppo che tenne in ostaggio per più di cinque anni Gilad Shalit, fu proprio lui a scortare il ragazzo israeliano al confine con l’Egitto per il suo rilascio in cambio di un migliaio di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Jabari era ormai un “morto che camminava” , era ben consapevole del fatto che lo stato ebraico lo avrebbe eliminato prima o poi, era solo questione di tempo. La liberazione di Gilad Shalit da parte del governo israeliano fu una priorità, anche a costo di liberare migliaia di prigionieri; una decisione che suscitò il malcontento di una parte dell’opinione pubblica che, nonostante volesse riportare a casa il ragazzo, considerava non equo ed eccessivo lo scambio.
Un chiaro avvertimento. Dunque Israele doveva eliminare Jabari per lanciare un chiaro segnale a Hamas, “non fatelo mai più”. Jabari era consapevole di ciò e infatti aveva preso diverse misure precauzionali come ad esempio il non portare mai con se il telefonino e il farsi vedere poco in giro, misure che però non gli sono servite.
Le religione e la guerra. Vi è inoltre un altro aspetto che vale la pena di evidenziare, il nome dell’operazione israeliana a Gaza, “Pilastro di Difesa” sarebbe stato preso da un passo della Bibbia (Esodo, 13:21). Ancora una volta si fa dunque uso della religione per scopi che non hanno nulla a che vedere con essa in quanto nessuna guerra è santa. Da una parte abbiamo citazioni bibliche che danno il nome a bombardamenti, dall’altro la “guerra santa” jihadista, entrambe portatrici di morte e devastazione; Dio diventa uno strumento per scopi politici ed economici, senza dubbio una strategia molto utile per cercare di autolegittimarsi.
La Palestina a rischio. Tutto ciò mette in secondo piano l’unica possibile soluzione, la costruzione di due stati, uno israeliano e uno palestinese, che si riconoscano reciprocamente e che possano vivere in pace l’uno accanto all’altro. Entrambe le parti dovranno fare dei sacrifici, ma per mettere fine a una guerra che va avanti ormai da più di sessant’anni ne vale indubbiamente la pena.
Un conflitto che distoglie gli occhi dalla Siria. Un’escalation che arriva in un momento già pesantissimo per il Medio Oriente, con la guerra civile siriana, le ripercussioni in Libano e Turchia, le proteste in Bahrein, in Giordania e la crisi iraniana. È proprio dalla Siria che arriva una dichiarazione del Consiglio Nazionale Siriano (SNC) attraverso un suo portavoce, Anas al-Abdi, il quale ha detto ad al-Arabiyya che l’opposizione siriana è sempre stata scettica sulla posizione di Israele nei confronti del regime e che un intervento a Gaza è utile ad Assad in quanto distoglie l’attenzione dei media internazionali dai crimini perpetrati dal regime siriano”.