Cina, il PCC cambia pelle tra epurazioni e triumvirati
Il Partito Comunista Cinese cambia pelle, non senza dolore. Cade la prima “vittima” della transizione da Hu Jintao a Xi Jinping: è Bo Xilai, controverso leader “alla Mao”. La sua espulsione e messa in stato d’accusa ha aperto il XVIII Congresso del Partito. La dissidenza batte il tamburo: in Tibet riprendono le immolazioni, salite a 7 in meno di 2 settimane, mentre l’artista-prigioniero Ai Wei Wei si mostra in pubblico e rilascia interviste “soft” sui propri carcerieri.
Piazza Tien An Men è vuota, mentre le sorti della Cina vengono decise. Non ci sono cortei né manifestazioni nella Piazza del Cielo, mentre al suo margine occidentale la grande Casa del Popolo ospita l’apertura del XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese. 2300 delegati riuniti per decidere (o meglio sancire) i nuovi leader della seconda potenza economica del mondo. Da oltre un anno fazioni e correnti si contendono la supremazia nell’elezione del nuovo Presidente e dei vertici del Partito: divisi più da familismi e amicizie che da idee politiche diverse. I nomi dei papabili sono sconosciuti ai più di noi occidentali, e a torto (un’ottima tabella può essere consultata sul sito di reporter freelance China Files). Il nuovo presidente, con ogni probabilità, sarà Xi Jinping, equilibrista di lungo corso: un grande mediatore, scelto proprio per tenere insieme le mille correnti del PCC senza farlo scoppiare.
Il Triumvirato. Ma Xi Jinping non decide da solo. Infatti, secondo Reuters, il presidente in pectore avrebbe stretto un accordo con il presidente attuale Hu Jintao e il predecessore Jiang Zemin. Il Triumvirato, espressione di un’unica “vision” politica al potere da trent’anni, dovrebbe nominare un comitato ristretto di 7 (o 9) membri che governi la Cina. Si sussurra però che la vera novità del Congresso sarà l‘eliminazione di Mao e del suo pensiero dallo Statuto del Partito: un’eresia, a prima vista, ma forse soltanto la constatazione di un processo iniziato già da 3 decenni e ormai completato. Non servono grandi leader, ma leader “continuativi”, che perpetuino il potere del Partito.
L’epurato. Proprio per questo il Congresso si è aperto con un’espulsione. Bo Xilai, noto come “nuovo Mao”, aveva saputo costruirsi un’immagine pubblica estremamente popolare, unendo la propaganda maoista alla lotta alla mafia locale. I maxi processi da lui intentati contro i boss del distretto di Chongqing non gli impedivano di incassare disinvoltamente mazzette. Per queste sue doti “personalistiche”, il Partito ha deciso di epurarlo. Come segnale e monito nella transizione.
I dissidenti. Nei giorni del Congresso, i contestatori del regime danno notizia di sé. In Tibet, altri 7 monaci si sono immolati nel breve arco di due settimane: 4 di loro, secondo fonti locali, erano minorenni. Nel silenzio annoiato (o forse preordinato) delle autorità cinesi. Manica larga – in apparenza – anche con l’artista dissidente Ai Wei Wei, progettista dello stadio olimpico di Pechino. L’architetto, trattenuto in condizione di “detenzione morbida”, non dava notizia di sé da mesi: ora gli è stato permesso di rilasciare un’intervista a Sky Tg24, dove attribuisce al regime una specie di rassegnata accettazione di un “nuovo clima”. Una stranezza che sembra invece confermare l’opposto: forse i triumviri vogliono sembrare soft per poter stringere le redini con più sicurezza.