Se uno dei nostri politici fosse stato a capo della CIA - Diritto di critica
IL GRAFFIO – Ammettiamolo. Fa sorridere – qui in Italia – che il capo della CIA si sia dimesso per una scappatella extraconiugale. Fa sorridere perché nel nostro Paese abbiamo un ex premier (sposato e divorziato) a processo per presunti rapporti “a pagamento” con una minorenne, abbiamo leader di partito che sbandierano la sacralità della famiglia come uno tra i punti più importanti del loro programma e poi si scopre che di famiglie ne hanno almeno due: una in itinere e una passata. Eppure mai nessun dubbio sull’opportunità di guidare formazioni politiche anche di matrice cattolica, nonostante le evidenti contraddizioni.
E se per assurdo uno dei suddetti si fosse trovato al posto di Petraeus? L’ipotesi – anche se formulata per assurdo – fa sorridere.
Ancora oggi il Corriere della Sera on line apre con la vicenda di David Petraeus e con le sue parole sull’etica che si addice a un uomo chiamato ad essere una guida, prima di tutto: «Un comportamento inaccettabile per un marito e per un leader». Più di un politico dei nostri avrà ridacchiato sotto i baffi. Certo, il dubbio è che dietro alla decisione di lasciare la CIA ci siano motivazioni ben più gravi, come le inefficienze della struttura in occasioni come l’assalto di Bengasi, quando l’11 settembre scorso venne ucciso l’ambasciatore statunitense Chris Stevens.
Si chiude così la carriera di uno dei generali più importanti e influenti dell’epoca Obama. Prima della CIA, infatti, David Petraeus era stato a capo delle truppe americane in Afghanistan. Tutto finito. Per una scappatella (con la sua biografa).