La legge anticorruzione, uno specchietto per le allodole
La legge anticorruzione approvata dal Senato non interviene su due reati fondamentali che della corruzione sono il primo passo e spesso un elemento fondamentale. A tutti gli effetti pare una legge che di anticorruzione ha solo il nome e non i contenuti.
Falso in bilancio. La norma appena approvata in Senato, infatti, non interviene sul reato di falso in bilancio, già depenalizzato all’epoca del Governo Berlusconi. La conseguenza principale sono ondate di false fatturazioni che nascondono importi “devoluti” a questo o quel personaggio da corrompere. E il San Raffaele – sotto il profilo del falso in bilancio – è un esempio calzante del tipo di reato rimasto “scoperto”. Rispondendo a una domanda sul perché non è stato introdotto il tema all’interno del ddl anticorruzione, la guardasigilli ha spiegato ieri che a suo modo di vedere “i due argomenti si possono affrontare separatamente” anche se ha riconosciuto che si tratta di “uno dei reati spia della corruzione”. Quanto al tempo per approvarlo entro la legislatura, “mi sono resa conto – ha detto – che i tempi parlamentari dipendono dalla volontà politica, e ho scoperto che la calendarizzazione è un segreto molto importante per una legge. In ogni caso si può comunque lasciare un segno, un buon ddl che si può completare nel tempo rappresenta sempre una traccia importante”. Insomma, si possono ancora mettere da parte fondi neri all’estero, senza che il falso in bilancio sia punito. Ed è stato visto anche di recente: chi corrompe o ruba soldi lo fa falsificando le carte relative ai bilanci. Per non parlare delle infiltrazioni mafiose: arrivano prima nei bilanci e poi nelle stanze della società.
L’autoriciclaggio. Il secondo e altrettanto importante è l’autoriciclaggio. Un reato diffusissimo negli ambienti mafiosi per cui se un trafficante investe denaro frutto di operazioni illecite per aprire un’attività legale, non è perseguibile perché non esiste, nel nostro ordinamento, il reato di autoriciclaggio. A chiederne l’introduzione sono la Procura nazionale antimafia, la Banca d’Italia e le forze dell’ordine ma le pressioni non mancano anche dall’estero. L’assenza di questo reato – spiega Luigi Li Gotti (IdV), impedisce di “inseguire” i beni frutto di attività illecita e la confisca per equivalente (ossia di beni equivalenti per valore, a quelli sottratti).
Per rendersi conto della gravità del non aver previsto questa fattispecie di reato nella legge anticorruzione, basti pensare che le mafie italiane (i dati sono della Procura nazionale Antimafia) fatturano ogni anno tra i 180 e i 200 miliardi di euro, quasi tutti riciclati. Un fiume di denaro funzionale a molti scopi, non esclusa la corruzione.