Auto e crisi: se ne vendono quanto nel 1964
C’era una volta l’auto nuova. In Europa, infatti, quasi nessuno acquista quattroruote appena uscite dalla fabbrica. Ad agosto è stato riscontrato il dato peggiore (almeno fino ad ora) degli ultimi anni: 60mila immatricolazioni registrate, una cifra che segna una clamorosa involuzione per il mercato automobilistico. Bisogna tornare indietro fino al 1964 per imbattersi nuovamente in un dato così poco incoraggiante.
L’Italia (e l’Europa) mettono la retromarcia. L’onnipresente crisi ha steso la sua “longa manus” anche sul mercato dell’auto. I numeri sono diventati impietosi: da gennaio fino ad oggi sono state immatricolate in Italia il 19,9% di automobili in meno rispetto all’anno passato, che pure si era dimostrato inclemente per il mercato automobilistico. Quasi tutte le case soffrono, con pochissime eccezioni: si va dal -6,8% della Jeep al -56,2% della Daihatsu, passando per il -17,5% della Volkswagen e il -30,9% dell’Alfa Romeo. Le rarissime mosche bianche in questo apocalittico scenario sono la Chevrolet, che fa registrare un +5,8%, e la Land Rover, con il suo clamoroso +44,1%. La situazione non migliora neppure in Europa: le circa 500mila immatricolazioni in meno fanno infatti segnare un -6,8% rispetto all’anno passato.
C’è una soluzione? Nessuno finora ha scovato una valida strategia per opporsi alla moria di acquirenti. La Fiat e la Opel ad esempio, pur attuando piani commerciali completamente diversi, non hanno evitato il drastico calo nelle vendite. La Fiat dal 2009 ad oggi, a causa del pessimo andamento del mercato, ha deciso di sfornare un numero esiguo di nuovi modelli (la Panda, la 500L), preferendo effettuare restyling ad auto preesistenti, come la Punto EVO o la Fiat Freemont (basata sulla Dodge Journey). La Opel, invece, nello stesso lasso di tempo, ha realizzato un nuovo modello dietro l’altro: la Astra, la Meriva, la Adam, la Mokka, la Zafira Tourer e l’elettrica Ampera. Risultato? Il bilancio della Opel è in passivo di 500 milioni e quello della Fiat di 354.
La colpa non è solo della crisi. Specialmente nel nostro paese il problema non risiede esclusivamente nella crisi: chi altri in Europa può infatti vantare il 56% di accise sui prezzi dei carburanti? Oltre al “terrorismo fiscale” (che non porta neppure risultati positivi per le finanze statali, dato che è proprio il fisco a rimetterci quando viene immatricolata una vettura di bassa cilindrata rispetto ad una più potente) gli automobilisti oggi devono anche fare i conti con le polizze assicurative, l’Ipt (Imposta provinciale di trascrizione), il bollo ed il superbollo, tutti in vertiginoso aumento. Ma più del fisco, più delle case costruttrici, più dell’economia, a pagare le conseguenze di questo sfacelo a quattro ruote sono i 220mila lavoratori del settore auto, che vedono il loro impiego sempre più in bilico.
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