Legge elettorale e preferenze, i pro e i contro
Le preferenze sono davvero così utili, necessarie e sicure? In una campagna elettorale che ha già iniziato a svolgersi pur senza conoscere con quale legge elettorale si andrà a votare, viene da chiederselo. A parte il premio di maggioranza, infatti, quello del voto espresso con il nome e il cognome del candidato e non più con il listino bloccato è il tormentone di qualsiasi riforma elettorale in fieri.
I vantaggi. Il vantaggio del sistema con le preferenze risiede nella possibilità di “scartare” un politico non gradito e di scegliere chi convince più di altri. Con il dovere – per i candidati – di render conto agli elettori del proprio operato una volta eletto. Un particolare, questo, ormai dimenticato ma capace di radicare sul territorio il parlamentare di turno che per garantirsi la ricandidatura non può sfuggire alle promesse fatte.
I rischi. Il rischio principale del voto espresso con le preferenze è che vengano eletti personaggi come Franco “Francone” Fiorito, Domenico Zambetti o Vincenzo Maruccio, tutti e tre a vario titolo indagati (il secondo con l’accusa di aver comprato voti dalla Ndrangheta) e tutti eletti con il sistema delle preferenze: il politico di turno crea il suo giro di clientele e lacché e viene eletto con i voti dei “suoi”. E il sistema delle preferenze – negli anni – ha creato veri e propri feudi di questo o quel politico capace di promettere, dispensare e farsi eleggere. Piccoli signorotti locali con i loro vassalli, valvassini e valvassori. Anche nell’urna elettorale. Un meccanismo, quello del voto di scambio basato sulle preferenze che ormai non conosce confini e funziona tanto nel Sud quanto nella “leghista” Lombardia.
La garanzia dei partiti. Gli odiati listini, invece, hanno un unico vantaggio – e lo si è visto nella questione Minetti (e non solo): scaricano sui partiti la responsabilità di aver scelto e fatto eleggere un determinato parlamentare. La rinuncia alle preferenze, infatti, rimanda ai partiti il controllo a priori sui candidati e se un parlamentare si macchia di un reato è l’intero partito che viene screditato. Un rischio di immagine che peserà alle elezioni successive (vedi lo scandalo Ruby, la questione Minetti, ecc).
Affermare con certezza che le preferenze sono uno strumento di democrazia ineccepibile, dunque, non è così corretto come lo si vorrebbe far passare. Anzi. Lo strumento è fragile e delicato da maneggiare. Si rischiano feudi, signorotti, Fioriti, Marucci e Zambetti. L’ultimo – lo ricordiamo ancora una volta – secondo i magistrati eletto con i voti della Ndrangheta.
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Abbiamo una dittatura dei partiti, questa non è democrazia, siamo impotenti, non contiamo nulla, serviamo solamente per pagare le tasse; è un ritorno al medioevo.
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