Dal Pakistan all'Egitto, i bambini vittime delle leggi anti-blasfemia
Blasfemia. A rimetterci sono ancora i bambini. Prima il Pakistan, ora l’Egitto. Due bambini copti, Mina Nady Farag e Nabil Nagy Rizk, rispettivamente di 9 e 10 anni, sono stati arrestati con l’accusa di aver urinato su alcune pagine del Corano. Il fatto è avvenuto lo scorso martedì nella cittadina di Azbat Marcos, nella provincia di Beni Suef, in seguito alla denuncia di Ibrahim Mohamed Ali, imam di una moschea del posto, il quale avrebbe visto i due bambini strappare delle pagine del Corano per poi urinarci sopra.
Bambini denunciati e arrestati. L’imam ha inizialmente portato i due bambini nella chiesa copta locale per chiedere al prete di punirli ma, in seguito al rifiuto del sacerdote, ha quindi deciso di denunciare i due minori presso il tribunale. Sia il padre dei due che il vicino di casa della famiglia hanno difeso i bimbi affermando che, essendo analfabeti, non erano in grado di conoscere il contenuto dei fogli, rivenuti in una borsa bianca sulla strada dove stavano giocando. Il vicino ha inoltre affermato: “abbiamo chiesto a uno dei bambini se sapesse cosa fosse il Corano e non ne aveva la minima idea in quanto, come la maggior parte dei bambini del villaggio, non sa né leggere e né scrivere”.
In galera per salvarli dal linciaggio. Nella giornata di giovedì i due bambini sono stati scarcerati su decisione di un tribunale egiziano, ma i due sono ancora sotto inchiesta e rischiano pene pesantissime se le accuse verranno confermate. La polizia avrebbe deciso di trattenere i bambini per proteggerli in quanto numerosi estremisti islamici sarebbero giunti in paese dalle zone limitrofe, riunendosi nella moschea locale per reclamare vendetta nei confronti del sacrilegio commesso.
Dal Pakistan all’Egitto. Diverse associazioni per i diritti umani hanno lanciato l’allarme, evidenziando come dall’inizio delle rivolte del 2011 vi siano già stati 17 casi di accuse di blasfemia, molti dei quali nei confronti di cristiani copti. Il fatto ricorda molto quello di Rimsha Masih, la ragazzina pakistana affetta da sindrome di Down accusata di blasfemia; anche in quel caso la denuncia fu fatta dall’imam della moschea locale il quale affermò di aver trovato pagine bruciate del Corano all’interno della borsa di Rimsha. Le indagini provarono l’innocenza della ragazzina, l’imam venne arrestato con l’accusa di complotto e venne anche riconosciuto colpevole di blasfemia in quanto sarebbe stato lui stesso ad aver ridotto in cenere le pagine del Corano inserite poi nella borsa di Rimsha. Secondo uno degli investigatori, Munir Hussain Jaffri, l’imam avrebbe affermato che il suo obiettivo era quello di cacciare i cristiani da quella zona.
Leggi contro la blasfemia per colpire “gli altri”. Ennesimo episodio dunque che dimostra la pericolosità e l’assurdità delle leggi anti-blasfemia le quali vengono spesso utilizzate come pretesto per vendette personali e per liberarsi del “diverso”. Secondo il noto teologo pakistano Ahmed Javed Ghamidi, le leggi anti-blasfemia non trovano alcun fondamento nelle fonti primarie e secondarie islamiche, ma sono piuttosto un’invenzione di alcuni ulema che le utilizzano poi per scopi personali o politici. Quando certi sedicenti “religiosi” arrivano al punto di denunciare persone indifese e inconsapevoli come bambini, con il solo obiettivo di colpire chi professa un altro credo e fabbricando a questo scopo prove false o quantomeno dubbie, essi perdono qualsiasi credibilità e autorità morale. Ennesima conferma dei preoccupanti livelli raggiunti da quel fanatismo che strumentalizza in modo sistematico la religione per diffondere odio settario fomentato da interessi di parte.