I numeri del declino dell'Italia. "Riforme subito"
Perché le industrie chiudono? E perché le imprese straniere se ne vanno? La risposta è scritta nei numeri pubblicati oggi sul Corriere elaborati da REF Ricerche sui dati Istat per conto del Cnel. Un impressionante declino dal 1970 fino ad oggi, un periodo nel quale la nostra produttività manifatturiera, tra le prime al mondo (meglio di Usa e Giappone per tasso di crescita) è crollata inesorabilmente, portandosi appresso i salari.
La produttività italiana al palo. Nell’ultima decade, la produttività dell’industria italiana è cresciuta pochissimo, mentre gli altri paesi si sono messi a correre. Grazie all’innovazione e grazie ad una legislazione che ha favorito crescita e occupazione. così, il divario con il resto d’Europa si è andato ad ampliare. Dopo l’introduzione dell’euro, che la crescita della produttività italiana si è attestata ad un misero 0,4% l’anno. Il confronto con gli altri è impietoso: la Germania ha avuto una crescita della produttività dell’1,8%, il 2,5% la Francia, il 2,8% l’Olanda, il 3% il Regno Unito. E anche la Spagna (1,5%) ha fatto meglio di noi.
La politica della svalutazione. Il vero problema risiede in come la politica ha affrontato l’effetto della globalizzazione sull’economia. Se negli anni ottanta l’effetto della carenza di competitività delle imprese italiane veniva “aggirato” con la svalutazione della moneta, negli ultimi decenni tutto ciò non è stato possibile. Ma, invece di intervenire sotto il profilo strutturale, incrementando la flessibilità del mercato del lavoro e diminuendo la tassazione sul lavoro e sulle imprese, non si è fatto nulla per anni: una ricetta vecchia per problemi nuovi ma ben conosciuti.
“Subito riforme strutturali, ma potrebbero non bastare”. “La perdita di competitività dell’Italia rispetto alle altre economie dell’area euro è stata significativa, oltre il 2% all’anno”, si legge nel rapporto che sarà presto presentato al Cnel. “Un tale divario, cumulato in dieci anni, comporta una perdita complessiva di oltre il 20%, difficilmente sostenibile nel medio termine”. Allora come recuperare il prima possibile questo svantaggio? Non è possibile immaginare di ridurre lo stipendio reale degli operai – visto e considerato il basso livello salariale nel nostro paese –. Bisogna intervenire sulla tassazione. Tuttavia, però, lo Stato non può in questa fase rinunciare ad una “tassazione restrittiva” e non è detto che le riforme strutturali siano sufficienti. “Il rischio – si legge nel rapporto – paventato negli scenari più pessimisti è che tali pressioni risultino di intensità tale da mettere in dubbio la stessa persistenza nella moneta unica”.
Twitter: @PaoloRibichini