A Sarajevo per costruire il dialogo interreligioso
Il pellegrinaggio della Preghiera Internazionale ed Interreligiosa per la Pace, partito da Assisi nel 1986, fa tappa quest’anno a Sarajevo e non potrebbe esservi luogo più adatto. Il cammino parte da un’intuizione profetica di Giovanni Paolo II che volle, sul finire della guerra fredda, riunire le religioni perché pregassero per la pace le une accanto alle altre. La Comunità di Sant’Egidio ha colto l’importanza di quell’evento e l’ha riproposto anno dopo anno, creando, attorno a questi incontri, uno spirito di confrontoe amicizia: lo Spirito d’Assisi.
C’è stata una profonda empatia fra questo Spirito e la città di Sarajevo, dove da sempre coabitano cristiani cattolici, ortodossi, musulmani ed ebrei, esempio di una non facile ma riuscita convivenza in un territorio come quello dei Balcani dove le religioni sono state recentemente usate come benzina sul fuoco dei conflitti. Questa vicinanza, evidente nella prossimità geografica degli edifici di culto, ha dato luogo nel corso degli anni a vicende straordinarie come quella del libro dell’Haggadah Sarajevita che proprio durante la cerimonia di apertura di quest’incontro è stata riconsegnata alla comunità ebraica, rappresentata da Oded Wiener del Gran rrabbinato d’Israele. Questo testo sacro miniato, infatti, redatto dalla comunità ebraica spagnola nel XIV secolo, è giunto a Sarajevo con gli ebrei sefarditi che vi si rifugiarono dopo la cacciata dalla Spagna ed è stato salvato da un bibliotecario musulmano prima durante la II guerra mondiale, poi durante l’ultima guerra. All’atto della restituzione, il Muftì di Sarajevo ha chiesto che venga trattato con lo stesso rispetto il sacro Corano e che mai questo venga oltraggiato o bruciato. Importante è stata la visita del patriarca ortodosso alla liturgia cattolica, seguita da una visita del cardinale alla liturgia ortodossa: segno di pace dopo che durante la guerra dei balcani le due confessioni avevano rischiato di identificarsi con i cattolici croati e i serbi ortodossi in guerra fra loro. Delle ferite della città di Sarajevo si è fatta più volte memoria, a partire dal dolore provocato dall’ultima guerra in cui molti, a prescindere dalla loro etnia o religione, hanno perso persone care: “Il dolore di tutte le madri è uguale” ha detto il fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, riaffermando la necessità di una memoria condivisa per vincere le divisioni.
In questa città chiave per la storia d’Europa, con l’attentato a Francesco Giuseppe che fece da detonatore allo scoppio della I guerra mondiale, di Europa si è parlato tanto: l’ha rappresentata Von Rompuy, presidente del Consiglio d’Europa, che ha voluto essere presente.
Si è riflettuto sulle radici della sua crisi che, per il presidente Monti, derivano dal fatto che sembra si sia smarrito il senso profondo dell’Unione, cioè voler vivere insieme in pace dopo l’esperienza terribile di due guerre mondiali. Per questo non basta rimettere in sesto i conti pubblici, ma bisogna ritrovare i valori fondativi del disegno europeo di pace, tolleranza e senso del bene comune. I Balcani, luogo d’incontro e scontro fra cultura e religione, fanno parte dell’Europa, hasottolineato il Presidente Monti, e questo concetto è stato subito ribadito anche dal Presidente della Croazia e da quello del Montenegro.
Sono stati due giorni di incontri a tutto campo con leader e intellettuali provenienti da ogni parte del mondo per ragionare insieme su tematiche religiose, come l’importanza della preghiera per i credenti, e di attualità, come la primavera araba.
Da questa città che ha visto la prima e l’ultima guerra del secolo si è levato, l’11 settembre, un appello di pace. L’ha scandito il cardinale Etchegaray: “Sarajevo, io ti dico oggi: coraggio! Coraggio! Impara di nuovo a vivere insieme, imparate a guardarvi l’un l’altro senza preconcetti, come se ciascuno fosse nuovo, fosse appena rinato”