Dalla "Primavera araba" alla spirale estremista, l'inganno delle "rivoluzioni" in Medio Oriente
L’ANALISI – Da diverso tempo ormai si sente parlare di “Primavera Araba”, termine di origine giornalistica utilizzato principalmente dai media occidentali per fare riferimento alle rivolte che da fine 2010 hanno interessato diversi paesi del Nord Africa e del Medio Oriente e che, in alcuni casi, hanno portato alla caduta di regimi al potere da decenni, come in Egitto, in Tunisia e in Libia.
In Siria le rivolte hanno invece portato a una drammatica guerra civile tutt’ora in corso che verosimilmente porterà alla caduta del regime di Bashir Assad, ma che nel contempo ha anche messo il paese in ginocchio con un drammatico numero di morti, feriti e sfollati che aumenta di giorno in giorno.
In altri paesi come lo Yemen, il Bahrein e l’Iran, i governi sono per il momento riusciti a contenere e reprimere le rivolte, ma è difficile dire per quanto tempo visto che tali situazioni possono degenerare e portare a cambiamenti estremi anche nel giro di tempi relativamente brevi, come hanno dimostrato i casi di Egitto e Tunisia.
Alla base di queste rivolte, alcuni denominatori comuni: la corruzione dilagante, la carenza di libertà individuali e associative, un controllo soffocante sui media, la violazione dei diritti umani. Il tutto aggravato dall’altissimo tasso di disoccupazione dilagante anche tra i giovani, le condizioni di estrema povertà peggiorate con la crisi economica mondiale che ha causato un aumento dei generi alimentari di prima necessità.
L’Occidente ha da subito appoggiato i popoli arabi nella loro lotta con la speranza di veder sorgere in questi paesi delle vere e proprie democrazie guidate da esecutivi legittimamente eletti che rispecchiassero la volontà popolare. Come è ovvio, alla base di tale appoggio ci sono palesi interessi economici e strategici nel delicato scacchiere mediorientale, sede di mutamenti che rischiano di avere ripercussioni anche drastiche sugli equilibri mondiali.
Un elemento che né le popolazioni in rivolta né i governi occidentali sembra avessero previsto, è l’infiltrazione dell’Islam radicale che sta cercando in tutti i modi di dirottare la “Primavera Araba” verso una “guerra santa”, con l’obiettivo di instaurare nei diversi paesi governi che applichino nel modo più rigido la sharia, la legge islamica.
Era invece prevedibile e inevitabile che tali gruppi trovassero nelle rivolte una ghiotta occasione per manipolare la situazione e utilizzare la religione come pretesto per accaparrarsi il potere politico.
I fatti parlano chiaro, solo pochi giorni fa è uscita la notizia dell’assassinio in Siria di Mohammad Al Absi, capo di una cellula di Al-Qaeda infiltratasi nel paese per prendere parte ai combattimenti contro il regime, ma non di certo per aiutare il popolo siriano nella lotta verso la democrazia. Questo le forze di liberazione siriana lo sapevano benissimo tant’è che il capo della cellula qaedista è morto sotto i colpi della brigata partigiana Al-Farouq; in aggiunta i rivoltosi siriani hanno messo in fuga altri gruppi di jihadisti, tutti composti da stranieri.
Anche la Tunisia è stata teatro di preoccupanti episodi di violenza da parte di una componente salafita minoritaria ma molto arrogante, che ha condotto attacchi contro la popolazione, le forze di polizia, artisti e giornalisti, tutti colpevoli di non accettare l’islamismo radicale da loro predicato.
In Egitto, invece, un sedicente imam e i suoi scagnozzi hanno accoltellato a morte un giovane studente di vent’anni, Ahmed Hussein Eid, colpevole di camminare per mano con la fidanzata, comportamento “deplorevole” e giudicato meritevole di morte, ovviamente “nel nome di Dio”. Nelle settimane successive sono poi stati uccisi anche due musicisti “colpevoli” di dedicarsi a un’attività proibita dall’Islam, o meglio, dalla sua interpretazione estremista. Numerosi poi i giornalisti egiziani che hanno denunciato censure ai loro articoli che criticavano i partiti islamisti.
Anche la Libia si trova a dover fare i conti con gruppi armati di ispirazione salafita legati ad Al-Qaeda che cercano di condizionare la transizione verso la democrazia e che sono arrivati al punto di assaltare un consolato, uccidendo quattro persone tra cui l’ambasciatore statunitense.
Una democrazia osteggiata dagli estremisti islamici non in quanto “prodotto” occidentale, come loro vogliono far credere, visto che l’Islam stesso la prevede con il concetto di “shura”, ma piuttosto perché consapevoli del fatto che le popolazioni arabe non vogliono un regime islamista, non vogliono i salafiti e nemmeno i qaedisti. Dunque l’unico modo per prendere il potere politico, con i relativi vantaggi, è infiltrarsi nelle rivolte motivando tale intromissione con la scusante religiosa, distruggere la transizione verso la democrazia e instaurare l’ennesimo regime, ideologicamente differente dai precedenti, ma pur sempre un regime, basato come nella “miglior tradizione” sul sopruso, la violenza, la violazione dei diritti umani, la censura, la predicazione dell’odio verso chi ha idee diverse e una violenta repressione nei confronti dell’educazione, la cultura e la preparazione scolastica. Tutti strumenti pericolosissimi in quanto rendono gli individui padroni di sé stessi, liberi di farsi una propria idea sugli eventi, senza dover far affidamento su predicatori che utilizzano l’ideologia religiosa per il proprio tornaconto.
Possibile che l’Occidente non fosse al corrente di tale rischio? Difficile crederlo.
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Diciamo che nella guerra del petrolio l’ america reclamava più spazio, quindi bisognava creare confusione per poi andare a salvare la democrazia. Infatti sono lì che aspettano …
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sembra un po’ come qui da noi, avoja a fà rivoluzioni ma quelli che lo acchiappano in culo so’ sempre li stessi
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