La Catalogna mette in guardia Madrid: riforma fiscale o sarà secessione - Diritto di critica
In passato il “Diada de Catalunya” aveva attirato al massimo 50mila persone, un numero considerevole, ma non paragonabile a quello stimato dalla polizia l’11 settembre scorso. Sono state più di un milione e mezzo le persone scese in piazza con le bandiere della Catalogna per commemorare la caduta di Barcellona nelle mani delle truppe borboniche di Filippo V di Spagna durante la Guerra di Secessione spagnola l’11 settembre del 1714, dopo un assedio durato 14 mesi. “La nostra volontà è stata completamente ignorata – ha detto Soledat Balaguer, uno dei membri della segreteria dell’Assemblea Nazionale della Catalogna –, la Catalogna deve essere uno stato a parte”.
Una presa di coscienza, da parte dello stato catalano, che non ha precedenti a differenza dei Paesi Baschi, dove la popolazione non ha fatto mai mancare il proprio appoggio alla causa separatista. Nel 2010, un sondaggio condotto dal “Centro catalano per lo studio delle Opinioni”, rilevava ancora come solo il 25,2% della popolazione fosse favorevole alla scissione. Un’altra ricerca, commissionata la scorsa settimana, ha rilevato il massimo storico nella percentuale del 51,1. Lo stato ha impugnato, dopo il referendum del 2006 che trasferiva alla Catalogna importanti competenze regionali, la pronuncia della più alta Corte spagnola suscitando le proteste della popolazione.
Il malcontento è anche strettamente legato alla grave crisi economica in cui versa la Spagna. Sebbene la Catalogna sia la regione più ricca è anche la più pesantemente indebitata, con un disavanzo di bilancio pari all’8%. Due settimane fa il governo regionale aveva chiesto un prestito di 5 miliardi di euro, da restituire in breve tempo. Il governo spagnolo, invece, ha visto tale richiesta come l’ennesima occasione per mettere “le mani nelle tasche dei cittadini”. Con l’attuale sistema fiscale, la regione Catalogna percepisce le tasse dai suoi residenti e il totale viene girato al governo centrale che, successivamente, eroga l’importo designato per ogni regione per pagare gli stipendi pubblici, i servizi sociali, le infrastrutture. Nel 2009, l’ultimo anno del quale si conoscano i dati, a fronte di una raccolta del 19,49% delle entrate fiscali, lo stato ha girato alla Catalogna solo il 14,03%.
Secondo il presidente catalano Artur Mas, tale discrepanza spiegherebbe il deficit della regione. Mas ha chiesto una riforma fiscale che consenta al suo governo di raccogliere le proprie imposte e girare solo un importo designato allo stato centrale (e non viceversa). “Se non riuscissimo a raggiungere un accordo finanziario con Madrid – ha spiegato il presidente catalano alla Bbc – la strada verso la libertà per la Catalogna sarebbe aperta”. Lo storico Enric Ucelay-Da Cal, specializzato in nazionalismo catalano, analizza la “crescita del secessionismo come una risposta reazionaria all’erosione di alcune funzioni fondamentali e distintive della Catalogna. Come la chiusura di molte piccole imprese, una volta alla base dell’economia catalana”. I giovani, poi, trovano sempre più difficoltà nel lavoro e l’indipendenza potrebbe essere vista come una panacea. “C’è la percezione – ha sottolineato al Time lo storico –che una volta avuto il proprio sistema fiscale si possa tornare ai bei tempi della nostra cultura e tutto andrà bene”.