La faccia di Pablo Escobar contro la droga. L'idea shock dell'erede stilista
Ci avevano già provato nel 2004, quando il suo nome appariva su magliette e felpe della griffe “De puta madre 69”, fondata da un ex trafficante trasformatosi in stilista milionario. Ora a rinverdire la figura di Pablo Escobar, il boss della droga più famoso di Colombia, è lo stesso figlio, diventato adulto in Argentina con il nome di Sebastián Marroquín e oggi disegnatore di t-shirt con il volto del padre. A scopo anti-emulativo, pare. Al centro delle maglie una copia stampata della sua carta d’identità, della patente, del foglio di entrata al carcere, con fedele riproduzione della firma. Sotto, frasi poco convincenti come: “Cosa stai facendo?” o “Cosa vuoi fare del tuo futuro?”, una specie di avviso per i più influenzabili che assomiglia molto ai messaggi intimidatori sui pacchetti di sigarette. La linea d’abbigliamento è acquistabile anche su Internet, e sebbene non venga distribuita in Colombia (per rispetto alle vittime del narcotrafficante), l’affare sta funzionando: il figlio di Escobar ha già venduto migliaia di pezzi in Messico, Guatemala, Australia, Spagna, Stati Uniti, Giappone. Per ogni pezzo comprato, in regalo una moneta con nome e data di nascita del boss, assieme ad un certificato di autenticità della marca.
Catturato e ucciso nel 1993, Escobar è stato il re del commercio illegale di eroina e cocaina, padrone assoluto del cartello della droga della città di Medellín. La sua organizzazione si è macchiata negli anni di decine di stragi e migliaia di omicidi. “El Patrón” tra gli anni Ottanta e Novanta è arrivato ad essere il settimo uomo più ricco del mondo, con centinaia di proprietà e beni di lusso sparsi in tutto il globo. Mai avrebbe immaginato, forse, di essere usato un giorno per una sorta di campagna contro la droga.
Il business delle t-shirt “firmate” Escobar è nato da pochi mesi e ovviamente è già oggetto di polemiche sui media sudamericani, sebbene Marroquín abbia dichiarato che lo scopo delle sue creazioni è addirittura quello di distogliere i giovani dalla droga e dalla criminalità: «Sono perfettamente cosciente del danno irreparabile che mio padre ha fatto alla società – ha spiegato all’agenzia di stampa Efe – le mie magliette sono un’autocritica alla sua storia, un invito affinché i ragazzini sappiano i pericoli che si corrono entrando nel mondo del narcotraffico. Non sono io ad esaltare la figura di Escobar, ma i mezzi di comunicazione, che ne hanno fatto una specie di supereroe». Le parole di Marroquín colpiscono duro la Colombia, un Paese che sta cercando di porre fine alla guerriglia tra i cartelli della droga ma trasmette in televisione una serie di oltre 60 puntate sulla vita del suo peggior nemico, odiato da chi ha subito la sua violenza negli anni e piange migliaia di vittime, e idolatrato invece da chi in passato ha goduto dei suoi favori.
A Medellín, per esempio, il barrio dov’è nato è intitolato a suo nome, e gli abitanti ne esaltano le qualità filantropiche ricordando i tempi in cui Escobar faceva costruire campi da calcio e distribuiva case nuove e denaro ai poveri. In cambio, i compaesani lo hanno nascosto più volte quando la polizia colombiana gli dava la caccia, vent’anni fa.
Una storia controversa e pesante come un macigno. Tra gli scettici spicca Luis Fernando Quijano, presidente di una Ong che a Medellín realizza progetti sociali: «Il messaggio delle magliette non è chiaro – afferma – mostrare la figura di Escobar è un rischio, e potrebbe non essere un contro-incentivo sufficiente per i giovani».
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Forse questo idiota non si è ancora reso conto del danno che ha causato suo padre non solo alla Colombia, ma al mondo intero. Che tristezza che per una manciata di soldi, questo continui a far girare la figura di suo padre, che grazie alla sua bella opera compiuta negli anni 80 e inizio 90, non può nemmeno vivere in Colombia o usare il suo vero nome. Vergognati.
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