In memoria di Carlo Maria Martini, uomo del dialogo - Diritto di critica
di Vito Chiariello
Difficile, se non impossibile in poche righe, dar conto della lunga, grande e significativa attività come uomo di studio e di cultura (apparteneva all’Ordine dei Gesuiti), uomo di fede e pastore, uomo di dialogo ed ascolto rispettoso, come il cardinale Martini. Mi limiterò, perciò, a tratteggiare per sommi capi quella che, a mio parere, può considerarsi il grande lascito e la formidabile lezione del cardinale: solidità e inquietudine della fede cristiana, caratteristiche che, se apparentemente autoescludentisi, in realtà si tengono insieme in un misterioso abbraccio.
Al di là delle strumentalizzazioni di cui è stato oggetto, il cardinale Martini era un uomo di fede ed era ben saldo in essa. Era un uomo innamorato di Cristo, della Parola “che si è fatta carne” (Gv 1, 14). Il suo amore viscerale per Gerusalemme e per quella terra dimostra la il suo desiderio di andare alla fonte edalla sorgente della fede cristiana, oltre le accomodanti apparenze contemporanee che possono svilirne la radicalità e l’originalità del messaggio. Lo studio delle Scritture e la sua esperienza di provato esegeta, trasmettono il ritratto non di uno sterile e asettico studioso ma, al contrario, di chi ha gli strumenti atti ad interpellare l’origine e nello stesso tempo l’umiltà e la maturità di lasciarsi da essa interrogare, per poi poter ulteriormente attingere ad essa, instaurando così una sorta di circolo ermeneutico virtuoso tra antichità “sempre nuova” ed attualità, tra fondamento e sviluppo, tra tempio e mondo.
A ben rifletterci, infatti, la vita del cardinale Martini si è svolta sulla direttrice spazio – temporale, per dirla in termini kantiani, Gerusalemme – Milano, nello sforzo e nel tentativo di mettere continuamente in dialogo la città delle fede cristiana e delle altre fedi con la metropoli industriale del secolo, il capoluogo religioso con quello consumistico, la capitale interreligiosa con quella multiculturale. E’ l’immagine di una fede, quella del cardinale Martini, che non rinnega le proprie origini ed il proprio depositum ma, al contrario, invece che rinchiuderlo in una teca inavvicinabile ed intransigente, lo approfondisce esegeticamente e lo presenta all’uomo contemporaneo per comunicargli la Vita e da questi lasciarsi interrogare. E’ l’immagine di una fede che parla (forse anche nel deserto), che affronta le sfide, i problemi e le angosce dell’uomo del secondo millennio (Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi….sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo– Concilio Vaticano II, GAUDIUM et SPES, 1) e che, se così non fosse, resterebbe priva di senso e si ridurrebbe a un semplice cimelio culturale e simbolico dell’epoca che fu. E’ la fede che interpella e si lascia interpellare da chiunque, dall’uomo credente come da qualsiasi non credente, non per risolversi in un relativismo etico-religioso ma, al contrario, in una crescita reciproca della coscienza di sé.
Per questo motivo, famosa e sorprendente in tutti i sensi risultò l’istituzione quando era Arcivescovo di Milano della Cattedra dei non credenti che le sue stesse parole ci illustrano: Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande pungenti ed inquietanti l’uno all’altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa. E’ importante l’appropriazione di questo dialogo interiore, poiché permette a ciascuno di crescere nella coscienza di sé….Mi sembra opportuno che i credenti erigano simbolicamente dentro di loro una cattedra dove il non credente possa avere parola ed essere ascoltato; ed è altrettanto opportuno e utile che chi non crede possa dare voce ed ascolto al credente (C.M. MARTINI, Le ragioni del credere, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano 2011, pagg. 917-918).
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Riposa in pace Fratello
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