L'altra faccia del governo Monti, i diritti umani dei migranti
La guerra in Libia è stata archiviata e ormai per molta parte dell’opinione pubblica anche dimenticata, i caccia della “coalizione” hanno sganciato senza troppi problemi le loro bombe lasciando un Paese più instabile di prima. Ma poco o nulla pare sia cambiato sul fronte dei diritti umani. Se, infatti, sono cessati i massacri dei cittadini libici, proseguono come prima le violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti che dall’Africa Sub Sahariana tentano di attraversare l’Europa passando dalla Libia.
E’ di pochi giorni fa, infatti, la notizia riportata dall’agenzia Habeshia, secondo cui i militari del centro di detenzione per richiedenti asilo di Homs, a Est di Tripoli, dove sono rinchiusi centinaia di eritrei e somali in cerca di protezione umanitaria, a fronte di uno sciopero della fame messo in atto dalle donne che protestavano per le pessime condizioni di vita, avrebbero prima picchiato e poi “giustiziato” un ragazzo “ospite” del centro, sparando subito dopo anche contro le donne che urlavano per l’uccisione del giovane. E notizie di continue violazioni dei diritti umani dei migranti in Libia sono ormai quotidiane (e per lo più taciute dai nostri media).
“Al momento – spiega a Diritto di Critica Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – non si può dire che la Libia abbia voltato pagina. Le autorità centrali fanno fatica a prendere il controllo dell’intero territorio che, nonostante le recenti elezioni, continua a essere in buona parte nelle mani delle milizie locali. Queste gestiscono direttamente molti centri di detenzione al di fuori di ogni supervisione giudiziaria, in cui sono incarcerate alcune migliaia di persone senza accusa né processo, migranti privi di documenti o accusati in quanto stranieri di essere stati mercenari, così come libici sospettati di aver militato per il deposto regime. La tortura è routine e sono almeno dieci i casi di detenuti uccisi mediante tortura. Soprattutto nei primi mesi successivi alla fine del regime – prosegue Noury – le milizie locali hanno dato vita a una stagione di vendette e rappresaglie, in alcuni casi vere e proprie pulizie etniche come per i Tawargha. Le autorità di Tripoli continuano a non riconoscere il diritto d’asilo e a non consentire piena operatività alle organizzazioni che si occupano di rifugiati”.
Ma che per i migranti non sia cambiato gran che nel dopo Gheddafi lo dicono anche gli accordi che il nostro Paese ha firmato con le autorità locali: ricalcano quanto già visto ai tempi del governo Berlusconi (e non solo). “L’accordo firmato il 3 aprile a Tripoli dal ministro Cancelleri e reso pubblico non dal governo ma grazie al prezioso lavoro di Guido Ruotolo de “La Stampa” – sottolinea Noury – rivela obiettivi analoghi e contenuti simili alle intese sottoscritte dai precedenti governi italiani. Si parla di controllo dell’immigrazione illegale, di cooperazione bilaterale, di assistenza senza una parola relativa alle garanzie per i diritti umani dei richiedenti asilo. Amnesty International ha criticato sia i contenuti dell’accordo sia l’assenza di trasparenza che ha dominato tutta la vicenda”.
E alle porte potrebbe figurarsi adesso un “rischio siriano” – comunque marginale – proprio sul fronte delle ondate migratorie. I primi “avvistamenti” in questo senso non sono mancati. “Come sempre accade ma sempre si dimentica – spiega Noury – quando c’è una crisi dei diritti umani in un paese, la sua popolazione fugge nei paesi frontalieri o addirittura cerca riparo in altre regioni del paese, senza abbandonarlo. Si fugge nel paese più vicino sia perché è la soluzione più pratica, sia perché sarà meno complicato tornare a casa, quando la crisi sarà finita. Questo porta a dire che un eventuale flusso di rifugiati siriani in Italia sarà comunque modesto rispetto a quello in atto verso la Turchia e la Giordania e l’Italia dovrebbe essere in grado di fronteggiarlo come minimo con la stessa capacità degli altri due paesi”. E i precedenti per il nostro Paese si chiamano Tunisia e Libia. “La crisi e il caos provocati dal precedente governo all’inizio del 2011, in occasione dell’arrivo di flussi misti di profughi e richiedenti asilo dall’Africa del Nord – conclude Noury – ci dice chiaramente cosa non fare: portare al collasso il punto di arrivo (Lampedusa, l’anno scorso) bloccando le persone arrivate in centri piccoli e isolati, creando disagio a loro e alla popolazione locale. Occorre una risposta efficace, un modello di soccorso, assistenza, trasferimento in strutture attrezzate e verifica della situazione, e rispettosa del diritto internazionale, che preveda che tutte le persone beneficino di una procedura adeguata di richiesta di asilo”.
Il timore però è che – come avviene da quindici anni a questa parte – si ragioni ancora una volta sull’onda dell’emergenza e del clamore mediatico, rinunciando – e in questo il governo dei “tecnici” potrebbe invece segnare un punto di svolta – a risolvere una volta per tutte il nodo dell’accoglienza, creando e potenziando la rete di associazioni e strutture che pure esiste.