Elezioni anticipate e Monti-bis, c'è chi dice sì
La legge elettorale subito, entro fine agosto, in modo da essere pronti al voto anticipato come rimedio a una perdita di credibilità italiana che le riforme e i tagli non riescono a frenare e la tempesta speculativa già preannunciata potrebbe soltanto accelerare. Un’ipotesi che i leader negano fermamente, ma che per diverse ragioni non è improbabile.
Monti-bis, o quasi. Se, infatti, i mercati – come sembra – sono convinti che la debolezza italiana è dovuta in gran parte alla sua politica, gli sforzi di Monti risulterebbero vani e lo spread continuerebbe a salire. Al punto da richiedere necessariamente due condizioni. La prima è un nuovo governo legittimato dal voto popolare. La seconda è un esecutivo che, per quanto possa sembrare paradossale, ricalchi le orme del precedente. Vale a dire, con una guida conosciuta in Europa e ritenuta in possesso della forza necessaria per non cedere alle pastoie politiche e proseguire sulla linea tracciata dal professore della Bocconi.
Elezioni subito per non tirare a campare. A questo punto le ipotesi di un Monti bis sarebbero tutt’altro che escluse. Ma per salvaguardare una risorsa, nonostante tutto, ancora preziosa, senza esporla a un tirare a campare veleggiando tra i marosi di una campagna elettorale che ne paralizzerebbe l’azione, la cosa migliore potrebbe essere proprio ricorrere alle elezioni anticipate, sfruttando la prerogativa ancora in essere del Capo dello Stato, ovvero lo scioglimento anticipato delle Camere. Prerogativa che da novembre Napolitano non potrebbe più esercitare – entrando di fatto nel semestre bianco che segna la fine del suo settennato – rendendo possibile il voto solo a scadenza naturale della legislatura.
Ma il Porcellum non piace. A questo punto, però, diventa fondamentale il modo in cui si va a votare, visto che il Porcellum – ufficialmente odiato, ma segretamente ritenuto elisir di lunga vita utile a tutte le segreterie e le classi dirigenti attuali – adesso spaventa tutti i partiti. Il sistema elettorale ideato da Calderoli e divenuto legge nel 2005, infatti, prevede non solo le liste bloccate e l’impossibilità di esprimere le preferenze, ma, soprattutto, un premio di maggioranza che, alla Camera, garantisce 340 seggi alla coalizione che ottiene la maggioranza relativa e al Senato il 55% dei seggi assegnati ad ogni singola regione.
Al momento secondo i partiti andare a votare col Porcellum significa decretare il trionfo di Grillo, quindi una legge elettorale alternativa va trovata assolutamente.Ma quale?
Una nuova legge elettorale. Il 9 luglio il Colle ha invocato la riforma del sistema di voto, anche a maggioranza, purché in fretta. Però, il comitato ristretto, riunitosi in commissione Affari Costituzionali di palazzo Madama, non sembra aver ancora sciolto il nodo. Con i segretari dei partiti che sostengono l’esecutivo arroccati ognuno sulle proprie posizioni. Oggi (mercoledì) potrebbe essere il giorno della svolta, ma al momento non ci crede nessuno. Gli uomini di partito scelti per condurre in porto la trattativa – nonostante diversi avanzamenti comunicati a più riprese – sono impossibilitati a chiudere il cerchio senza l’ok dei loro leader ad un testo condiviso. Testo che per ora non c’è o che perlomeno nessuno conosce.
Temporeggiare non conviene più. Fino a ieri il problema non sussisteva, nessuno si è mai esposto al punto da mettere in crisi il governo. Temporeggiare, sembrava essere una logica obbligata. Ma oggi, dopo tre giorni da incubo passati in balia dello spread, la musica potrebbe essere cambiata. Nelle condizioni attuali e in quelle che si prospettano a breve termine – specie se non viene data attuazione alle decisioni dell’ultimo vertice europeo –, potrebbe essere necessario un intervento d’urgenza ed un nuovo esecutivo. Le alleanze, poi, sono in alto mare e rischiano comunque di non essere sufficienti al raggiungimento di una maggioranza. Se già prima dell’era della crisi vincere per il rotto della cuffia non permetteva di governare agevolmente, figuriamoci ora.
Pd: “No alle preferenze, si al doppio turno”. Per non farsi “male” i partiti dovrebbero cercare una legge elettorale che non penalizzi nessuno ma che blocchi gli estremismi. Ma non è facile. Il Pd, in larga parte, è contrario al ritorno alle preferenze, in quanto – come ha spiegato energicamente Anna Finocchiaro e con lei la corrente che fa riferimento a Franceschini –, incentivano il voto di scambio. Per i democratici l’ideale sarebbero i collegi uninominali a doppio turno, eventualmente con un modesto premio di maggioranza da assegnare alla coalizione e non al primo partito. Come sempre, però, le spaccature e le divergenze nelle sue fila non mancano, come non mancano i margini per una trattativa.
Nel Pdl si pensa allo “spagnolo”. Il Pdl, invece, sarebbe più propenso ad un sistema proporzionale con i seggi distribuiti nelle circoscrizioni anziché su base nazionale – come avviene in Spagna – e premio di maggioranza del 10% da assegnare al primo partito. Nel partito di Berlusconi le preferenze sono considerate positivamente, ma senza essere un dogma.
Proporzionale puro per i centristi. L’Udc resta ancorato a un sistema rigidamente proporzionale, che assegni i seggi a livello circoscrizionale alle forze in grado di superare la soglia di sbarramento. Il partito di Casini vuole la reintroduzione delle preferenze e non è contrario ad un premio di maggioranza non troppo considerevole al primo partito.
Premier designato dopo il voto? Poi c’è un altro problema. Va chiarito se è ancora in campo l’ipotesi (che piace solo alla casta) della scelta del premier a giochi fatti. Un ritorno ai giochetti di palazzo stile prima Repubblica capace di permettere la nascita di una grossa coalizione dopo il voto popolare, quelle “alleanze inconfessabili” di cui parla Di Pietro.
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