L'autostrada della 'Ndrangheta, sei arresti per la Salerno-Reggio Calabria
di Chiara Baldi
Non bastano le smentite della politica sulla lunga ombra della ‘ndrangheta sulla Salerno-Reggio Calabria. Non bastano perché in afose giornate di luglio accade di parlare con un collega calabrese che ti dice che all’alba i carabinieri hanno arrestato sei persone presunte affiliate alla cosca Nasone-Gaietti di Scilla con l’accusa di estorsione alle ditte impegnate nei lavori sulla A3. L’operazione “Alba di Sicilia”, che in realtà si era chiusa lo scorso 30 maggio, si è riaperta oggi ed è stata confermata anche da Ansa e Corriere della Calabria.
Tra i sei arrestati, anche tre operai: Francesco Alampi, Giuseppe Piccolo e Francesco Spanò della ditta Santa Trada, vincitrice del subappalto dei lavori sull’autostrada. L’accusa è quella di estorsione e furto aggravati dall’aver favorito un sodalizio mafioso: secondo gli inquirenti, infatti, Alampi, Piccolo e Spanò avrebbero rubato, lo scorso aprile, materiale da lavoro e danneggiato un furgone aziendale, per chiedere successivamente denaro per la restituzione del materiale e per la messa a posto del cantiere. Insieme a Francesco Nasone, rappresentante sindacale e già detenuto dopo la stessa operazione “Alba di Sicilia” di maggio, i tre svolgevano funzioni di rappresentanza dei lavoratori della loro azienda.
Era Nasone, secondo quanto dimostrato dalle indagini, a coordinare i tre operai, definiti «veri e propri grimaldelli che, agendo dall’interno, potevano muoversi liberamente sul cantiere, senza destare sospetti». Una volta avvicinate le vittime, veniva consegnato tutto nelle mani dei vertici ‘ndranghetisti. Ma l’operazione “Alba di Sicilia” ha avuto anche un secondo momento: quello che ha portato all’arresto di Giuseppe Fulco, 41 anni, già detenuto dal primo giugno 2011, e sua madre Gioia Nasone, 68 anni. Ai due è stata contestata l’associazione di tipo mafioso: Fulco è infatti nipote del defunto boss di Scilla Giuseppe Nasone e, dicono gli inquirenti, è spesso andato in cantiere ad estorcere 6mila euro ad un imprenditore (il 3% dell’importo dei lavori), al fine di poter continuare a lavorare. Per l’accusa, la cosca ha esercitato pressione attraverso il danneggiamento in due punti del cantiere Anas nel tratto Scilla-Favazzina sulla strada statale 18. La madre di Fulco, invece, potrebbe essere il collante tra il figlio in carcere e i vertici del clan.
Ma per la Dda di Reggio Calabria, c’è di più: la cosca esercitava una capillare pressione estorsiva su alcuni imprenditori impegnati nell’ammodernamento della A3. Sono stati infatti gli aiuti «particolarmente preziosi» di alcuni imprenditori, vessati da ricatti e richieste di denaro, a portare all’arresto di queste sei persone. È probabilmente ripartendo dal “no” di questi imprenditori che si sconfigge il fenomeno mafioso nella sua interezza. Ma è soprattutto ammettendo che uno snodo importante come la Salerno-Reggio Calabria è nelle mani della ‘ndrangheta che si comincia a capire quanto potere abbiano le cosche, e non solo in Calabria.