Berlusconi VI torna a Forza Italia, una scelta che puzza di vecchio - Diritto di critica
Silvio Berlusconi aveva detto che non si sarebbe più candidato e aveva quasi convinto l’opinione pubblica. Più o meno tutti lo davano ormai preso dai suoi interessi imprenditoriali e in uscita dalla politica attiva. Ma lui, dopo aver creato e distrutto il “riconoscente” Alfano, con la più clamorosa delle retromarce ha prima annunciato una nuova discesa in campo per difendere il patrimonio di voti creato in quasi vent’anni di vita politica e poi ha rinnovato l’amarcord, dichiarando che il Pdl è morto e si torna a Forza Italia. L’era berlusconiana non è archiviata, anzi, inaugura una nuova fase che sembra chiudere il cerchio con una sorta di ritorno alle origini. Forse la riedizione aggiornata al 2000 di quella “rivoluzione liberale” rimasta lettera morta? La cosa più curiosa è che l’annuncio del cambiamento del nome del partito, giunge dalle colonne del Bild, uno dei più autorevoli giornali tedeschi.
L’intervista si presenta come un breve compendio delle sue battaglie di sempre, a cominciare dalla discesa in campo contro il pericolo comunista e dall’attacco alle toghe rosse che hanno intentato i processi a suo carico, “erano più di 50 o io ho pagato più di 428 milioni di euro per avvocati e consulenze”. Tutti procedimenti conclusisi nel nulla – anche grazie alla prescrizione -, come nel nulla, afferma Berlusconi, finirà anche il processo che lo vede imputato per il “bunga bunga”, a proposito del quale ha difeso ancora una volta le “olgettine”, trattate da prostitute per aver “solo ballato in discoteca”. Niente di nuovo sul fronte occidentale, verrebbe da dire.
Compresa la polemica sulla debolezza della figura del presidente del Consiglio e sulla necessità di riforme, motivo che avrebbe spinto a cedere il timone a Monti e ad assicurargli una maggioranza senza precedenti. Poi l’ex premier ha anche commentato la situazione europea riproponendo la sua ricetta anti crisi, “creare un clima di fiducia e ottimismo” e attribuendo al suo governo gran parte del merito nell’aver messo i conti quasi sotto controllo. Berlusconi non ha mancato di criticare l’impostazione rigorista auspicando “una Germania più europea e non un’Europa più tedesca”, mentre alla Merkel, rea di una politica tutta basata al contenimento della spesa, ha chiesto un cambiamento di marcia. Un’uscita contraddistinta da un tempismo al contrario, visto che la Merkel aveva da poco ribadito ancora una volta la politica del rigore, affermando che la Germania non darà nessuna solidarietà senza contropartite. Niente aiuti a chi non accetta i controlli sui propri conti.
Tutto sommato, un’intervista che non lascia il segno, se non per quel ritorno al passato forzista, spia, innanzitutto, di un’incapacità di pensare e creare qualcosa di realmente nuovo, tanto da dover ricorrere ad un usato sicuro che sa molto di nostalgia per i tempi andati, per un’irripetibile età dell’oro in cui tutto era bello. Un altro sintomo grave – ma forse Berlusconi non potrà mai accettarlo pienamente – della vecchiaia politica e fisica impressa a fuoco su un uomo di 76 anni, ai vertici del sistema da quasi un ventennio.
Criticare la sua scelta, se davvero è stata presa, non serve a niente. Ogni invito a farsi da parte che arriva dall’opposizione, suona come il segnale di una paura inestinguibile. Dicono così perché hanno paura. Un teorema semplice, per molto tempo non privo di fondamento e che ora si vorrebbe alimentare di nuovo per creare il clima ideale a dissotterare l’ascia di guerra nell’ultima decisiva battaglia.
Certo, l’idea che il solo e unico “re” del centrodestra, dopo aver mimato l’abdicazione – invocata e sognata da molti dei suoi – e la conseguente apertura verso una sorta di “monarchia costituzionale”, si sia sporto dal finestrino, abbia fatto “marameo” con la mano e innestata una brusca retromarcia abbia iniziato a correre nuovamente verso il traguardo elettorale, suona come una presa in giro. Soprattutto per i suoi. Una delegittimazione del segretario e di quanti si sentivano maturi ad ambire a maggiori responsabilità. Un gesto che riafferma chi è il capo, disereda i molti figli e figliastri, mette alla porta i dissidenti e spegne sul nascere le critiche propositive e speranzose dei giovani pidiellini. A cui, in segno di discontinuità, verrà probabilmente offerta in pasto la testa della Minetti, la sua consigliera più amata e più bella ma, almeno politicamente, meno meritevole. Allo stesso tempo il dietrofront rappresenta un’ancora di salvezza per tutti coloro che, col suo tramonto, sarebbero usciti di scena. Rinserrare i ranghi, pescare nella vecchia guardia i pezzi migliori persi per strada, vedi, ad esempio l’ex ministro Martino, e prepararsi per un nuovo colpo di scena, il ritorno.
L’imperdibile visione televisiva della vita, che ha fatto di Berlusconi il dominus della politica italiana, è sempre presente, irresistibile come non mai. Immaginarselo abbattuto e pronto a cedere lo scettro sembrava troppo normale, troppo in linea con il logico decorso degli eventi. Invece, eccolo, il ritorno del vecchio condottiero di mille avventure. Mai domo, si presenta al suo popolo per l’ennesimo sogno, vincere ancora. Contro la sinistra, Grillo, contro i giudici e l’Europa, contro Monti, contro l’Imu, contro tutti coloro che hanno complottato affinchè lui si dimettesse senza – secondo lui – ragione alcuna. Rinforzato dalle vittorie processuali e rassicurato sul suo buon operato dallo spread che non cala nemmeno con i tecnici, si appresta a scendere in campo ancora una volta. Però, prima di affrontare, in uno scenario profondamente mutato, vecchi e nuovi nemici, la prima sfida lo aspetta a casa sua.
È lì che Berlusconi pone l’aut-aut, come avvenuto altre volte. L’azienda, il partito azienda, il Paese azienda. Il copione è lo stesso di sempre: comando io e tu, o sei con me, o contro di me. O ti accontenti del tuo ruolo e stai al tuo posto, o ti allontani dal comodo transatlantico con la tua barchetta a guscio di noce e ti affidi ai flutti navigando a vista.
E, allora, adesso gli ex An, già preoccupati dalla nuova discesa in campo, potranno mai passare armi e bagagli sotto il nome del partito con cui avevano fuso l’esperienza di Alleanza nazionale?
Giorgia Meloni è stata chiara, ricordando a tutti i colleghi “passatisti” come alla sua nascita il Pdl abbia quasi raddoppiato i voti rispetto a Forza Italia. Una frase che, senza aggiungere altro, fa ben presente l’importanza della componente di destra nel partito del predellino.
E il problema di Berlusconi nasce sicuramente con gli ex An, tanto con i colonnelli – La Russa, Matteoli, Gasparri – che con Alemanno, Augello, la Meloni e Rampelli. Ma non solo. Cosa faranno i critici e gli indipendenti tipo Pisanu e ancor più Scajola che conta su diversi parlamentari a lui fedeli? E i ciellini come Lupi e Formigoni avranno qualcosa da obiettare? Lecito chiedersi anche la posizione che assumeranno coloro che, come Frattini, si sono pericolosamente spesi per una totale convergenza con Monti. La generazione di Alfano come Fitto, la Carfagna, Crosetto, seguiranno le indicazioni tutte improntate alla lealtà di un segretario di fatto esautorato? Mentre i giovanissimi e ancora poco conosciuti “formattatori”, che hanno chiesto ad Alfano un cambio netto dei vertici di cui rifiutano molti comportamenti, saranno in grado di tornare zitti zitti all’ovile? Pur sapendo che loro rappresentano un futuro di cui, comunque, il partito non si può disfare?
Non sono pochi i nodi che Berlusconi dovrà sciogliere per imporre la restaurazione del suo potere assoluto evitando scissioni e golpe.