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Diritto di critica | November 5, 2024

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Don Verzè, nuove scoperte sull'imprenditore-estorsore

Don Verzè, nuove scoperte sull’imprenditore-estorsore

La domanda giusta è: cosa non succedeva al San Raffaele? Gli arresti e le perquisizioni della Procura di Milano buttano all’aria panni sporchi e storie losche. Furti, estorsioni, minacce  in stile mafioso: ma anche connivenze, favori, spie dello (e nello) Stato. Il circo di Don Verzè, a sei mesi dalla morte, è ancora un “romanzo criminale” a puntate.

Danilo Donati, responsabile sicurezza dell’Ospedale San Raffaele, e i suoi aiutanti Antonio Vito Cirillo e Francesco Pinto. Sarebbe questo, secondo i pm, il terzetto di picciotti che diede fuoco, nel 2006, al campo sportivo Olympia di Andrea Lomazzi: un incendio doloso ordinato dal prete-imprenditore Luigi Maria Verzè, per costringere Lomazzi ad andarsene e cedergli i terreni. Ci provava da anni: un testimone, Cesare Damonte, racconta di “inviti a staccare luce, acqua e gas” al rivale, e il rifiuto gli costò l’incendio della macchina il 14 febbraio 2011.

Al centro della contesa, un terreno adiacente al San Raffaele. Don Verzè aveva in testa investimenti immobiliari di rilievo su quel lotto, e aveva bisogno di mani libere al più presto. Occorreva spremere più soldi possibili da quei terreni: il tracollo finanziario del San Raffaele, tra il 2007 e il 2011, era ormai manifesto e imminente.

Va detto che la storia non brilla per originalità, nel passato di Don Verzè ci sono parecchi altri esempi di “metodi sbrigativi” per ottenere ciò che voleva, fossero favori, soldi o terreni. Due condanne definitive per corruzione negli anni 70 e una valanga di prescrizioni, cavilli e prestanome negli anni successivi, sempre per reati di truffa, appropriazione indebita e concussione; quando si dice “settimo comandamento, non rubare”.

Ma le imprese della Banda Bassotti (Donati, Cirillo e Pinto) non finiscono in un piccolo incendio doloso. A metà del 2011, i tre tentarono il colpaccio per andarsene in bellezza, rubando 939mila euro in contanti e titoli dalla cassa continua della Fondazione Monte Tabor (proprietaria del San Raffaele). Un furto rapido per far cassa, qualche giorno prima del suicidio dell’amministratore della Fondazione stessa Mario Cal: era chiaro a tutti loro che l’impero finanziario di Verzè stava per crollare sotto i debiti contratti da Cal, e tentavano di abbandonare la nave.

La storia non è ancora finita. Tutto il processo è ancora da scrivere, ogni virgola dei memoriali depositati dai pm va dimostrata davanti al gip: cosa tutt’altro che scontata. Intanto, in corsia, chi è rimasto lavora alacremente per garantirsi la “pensione d’oro”.