Il limbo dei Centri di Identificazione ed Espulsione, dove il diritto è sospeso
“Diciotto mesi vissuti lì dentro sono alienanti, annichiliscono le persone e fanno perdere la percezione della propria identità”. A raccontare la realtà di uno dei Centri di Identificazione ed Espulsione italiani – quello di Milano, in via Corelli – è il direttore della Caritas, don Roberto D’Avanzo. “Chi è trattenuto nei Cie -afferma il sacerdote-, ha commesso reati amministrativi che paga con una reclusione a volte peggiore di quella dei detenuti, perché vissuta nella più totale inedia, in giornate vuote senza senso, senza capire perché sono lì e come faranno a uscirne”.
Poche parole per raccontare la triste realtà di migliaia di immigrati costretti a 18 mesi di reclusione senza processo. Chiusi in una sorta di luogo senza tempo, guardati a vista dalla polizia, senza la possibilità di condurre attività, comunicare con l’esterno se non attraverso fortunose chiamate via cellulare (da diverse testimonianze, inoltre, è emerso che a tutti viene rotta la telecamera del telefono all’ingresso nel Cie, in modo da impedire la divulgazione di scene e maltrattamenti).
E che la macchina dei rimpatri non funzioni come dovrebbe, lo dicono anche i costi di permanenze così lunghe nei CIE. Secondo quanto scrive Raffaella Maria Cosentino, “l’Italia ha speso negli ultimi cinque anni oltre cento milioni di euro per rimpatriare poche migliaia di cittadini stranieri. E ancora di più si prevede di spenderne nei prossimi tre anni. Non ci sono solo i costi sostenuti, anche con fondi europei, per organizzare i voli di espulsione forzata […]. Per ogni cittadino straniero rimpatriato, lo stato italiano paga cinque biglietti aerei: quello dello straniero e quelli di andata e ritorno per i due agenti che lo scortano. Il dato è contenuto nel rapporto della Commissione diritti umani del senato su carceri e centri di trattenimento per migranti senza permesso di soggiorno”.
Ma il circolo vizioso dei rimpatri prosegue con il carcere. Per i migranti che si vedono consegnare un foglio di via e non fanno rientro nei loro Paesi d’origine, infatti, è previsto di nuovo il Centro di Identificazione ed Espulsione.
Ci sono poi i costi di mantenimento di strutture come i CIE. Come scrive ancora la Cosentino, “solo nell’ultimo anno abbiamo speso 18,6 milioni di euro. Il dato (aggiornato al 1 febbraio) è stato fornito da Angela Pria, capo dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’interno. Altri 18 milioni di euro sono stati stanziati a gennaio dal governo Monti per ricostruire e riaprire due vecchi centri, quello di Santa Maria Capua Vetere (Ce) e quello di Palazzo San Gervasio (Pz)”.
Il tutto per tenere in un limbo migliaia di migranti, lasciati in uno stato di semiabbandono per 18 mesi, nonostante i clamorosi fallimenti di esperienze di “accoglienza” come Lampedusa.