L'Italia fuori dall'euro? Ecco cosa accadrebbe - Diritto di critica
Negli ultimi tempi, complice l’aggravarsi della crisi economica, si sta facendo strada l’ipotesi che per uscire dalla recessione possa essere utile l’uscita dell’Italia dall’euro e la conseguente svalutazione della nuova lira. Il motivo è lo stesso già attuato altre volte nel corso della vita della Repubblica, e cioè rendere più competitivi i prodotti italiani all’estero. In altre parole, dicono i favorevoli alla svalutazione, le imprese potrebbero vendere più facilmente i propri prodotti all’estero, produrrebbero di più, assumerebbero di più e tutti vivrebbero felici e contenti.
I motivi per cui questa teoria è una sciocchezza sono innumerevoli: basterebbe cominciare con il chiedersi “se l’Italia ha già svalutato più volte la lira in passato, come mai il Paese non cresce da vent’anni e ora è con l’acqua alla gola?”. La risposta risiede in un principio fondamentale dell’economia, cioè che ogni scelta di politica economica richiede un trade-off, ovvero richiede di rinunciare a qualcosa in cambio di un beneficio. Nel caso della svalutazione, il beneficio è una crescita più forte (o meno debole) nel breve periodo, in cambio, però, di una crescita più lenta (se non addirittura ferma o negativa) nel lungo periodo, a parità di altre condizioni.
L’arma della svalutazione aveva ancora un senso in passato quando i prezzi delle materie prime (come il petrolio) erano molto bassi, i salari erano ridotti ai minimi termini e l’unico modo per vendere i prodotti italiani era portarli all’estero: una facile scorciatoia per permettere l’accumulo di un capitale che dopo la guerra non esisteva più, favorendo gli investimenti e la crescita dei salari, così come ha fatto la Cina negli ultimi anni. Tuttavia, man mano che l’Italia è diventata un’economia moderna e integrata, la scorciatoia della svalutazione ha rappresentato la via più breve verso l’abisso.
Si può immaginare che l’Italia decida di uscire dall’euro: la nuova lira nascerebbe debolissima, nessuno la vorrebbe (neanche gli italiani, se potessero), i capitali sparirebbero dal Paese, e la svalutazione sarebbe poderosa, nell’ordine del 30-50%. Un ipotetico tentativo di sostenere la moneta brucerebbe velocemente le riserve (come sta avvenendo nella per nulla tranquilla Argentina).
Il lato positivo della medaglia della svalutazione, abbiamo detto, è che le merci italiane si venderebbero più facilmente all’estero. L’altra faccia della medaglia è che le merci estere diventerebbero più costose, sia per i consumatori che per le imprese. In primo luogo il petrolio (che con il gas naturale è il prodotto che più contribuisce alla parte negativa della bilancia commerciale) diventerebbe enormemente più caro di adesso e i prezzi di energia e carburante, già oggi altissimi, finirebbero alle stelle. Dato che tutte le imprese utilizzano energia, una parte dei più elevati guadagni dovuti alle esportazioni verrebbero bruciati dai costi che lievitano. Lo stesso vale per gli stipendi, destinati ad alzarsi con ulteriore aggravio per le imprese, a meno che non si voglia lasciare che perdano ulteriore valore reale, che poi è una delle ricette già oggi imposte da Bruxelles e Berlino a Irlanda, Grecia e Portogallo.
Le imprese che vogliono innovare e crescere, inoltre, si ritroverebbero in forte difficoltà: nel mondo globalizzato moderno moltissimi prodotti vengono costruiti utilizzando input prodotti nei punti più disparati del pianeta. Un iPhone americano, per esempio, viene assemblato in Cina con i processori coreani della Samsung, gli schermi della giapponese Sharp (in futuro) e molti altri pezzi come gli accelerometri, nati ad Agrate Brianza: Apple può permettersi di acquistare questi pezzi in virtù della forza del dollaro. Un’impresa italiana munita di liretta non potrebbe mai pensare di fare lo stesso, e un’azienda come la FIAT avrebbe una ragione in più per lasciare Torino destinazione Detroit.
Il risultato sarebbe che i prodotti italiani non standardizzati (come auto e dispositivi elettronici) finirebbero per essere prodotti con materiali più scadenti, un po’ come gli smartphone cinesi, e poi venduti sul mercato a prezzi stracciati, in un processo chiamato dumping, con un duplice corollario: le imprese concorrenti estere non dovranno fare altro che migliorare la qualità dei propri prodotti per buttare fuori le aziende italiane dalle fasce alta e media del mercato (le più redditizie), mentre il marchio Made in Italy, che dovrebbe essere sinonimo di qualità, ne risulterebbe decisamente indebolito.
La verità è che l’Italia già da tempo non riesce a competere su molti mercati ad alta innovazione: il Paese, per fare alcuni esempi, non produce computer, e i medicinali sono importati o al massimo prodotti su licenza in Italia (il problema vale più in generale per l’intero settore chimico, oggi pressoché di appannaggio estero). Una svalutazione non aiuterebbe a sviluppare settori di questo tipo, poiché diventerebbe enormemente più oneroso l’acquisto di know-how e tutto quanto necessario per competere in questi mercati.
Si potrebbe dunque prendere in considerazione l’ipotesi che l’Italia possa vendere all’estero prodotti standardizzati (come le derrate alimentari) oppure prodotti tipici (ad esempio i vini, i formaggi). Il problema è che anche in questi casi le aziende avrebbero bisogno di una moneta relativamente forte: anche questi settori necessiterebbero di input importati (non solo la già citata energia: i metodi di produzione di molti prodotti “tipici” sono stati profondamente cambiati dall’innovazione tecnologica nel corso degli ultimi decenni). Ma soprattutto, perché questi prodotti possano essere venduti, avranno bisogno di adeguata promozione in loco, che andrà pagata inevitabilmente in valuta locale. L’Italia esporta oggi gran parte del proprio prodotto destinato all’estero verso Paesi con moneta più forte dell’eventuale liretta (Germania, Regno Unito, Francia, Stati Uniti) e i costi per la promozione lieviterebbero per via del cambio meno favorevole. E certo non si può pensare di vendere un prodotto che nessuno conosce: la pubblicità è l’anima del commercio ovunque.
A chi gioverebbe dunque la svalutazione? Non alle imprese che desiderano innovare e dunque contribuire attivamente alla crescita di lungo periodo, che poi è l’unico tipo di crescita economica che dovremmo avere a cuore. La svalutazione darebbe respiro alle imprese che non vogliono innovare, come le ostinatissime piccole imprese che vogliono rimanere tali, che vogliono produrre gli stessi prodotti, con gli stessi metodi di produzione, destinati a diventare obsoleti, poiché una lira debole proteggerebbe queste imprese dalla concorrenza delle più innovative, frizzanti, ricche imprese straniere. Per poco, però: con il tempo queste ultime riuscirebbero, con innovativi metodi di produzione, ad abbassare i costi e dunque i prezzi (come è normale in un mercato concorrenziale vero), e/o a migliorare la qualità dei propri beni, spazzando via le vetuste aziende italiane.
La svalutazione della moneta, dunque, darebbe al massimo solo un po’ di ossigeno alle imprese nel breve periodo, ma nel lungo periodo i problemi strutturali dell’economia italiana tornerebbero presto a galla, come è già stato in passato, come è oggi. L’Italia ha già svalutato in passato, ma a nulla è servito e a nulla servirà finché il Paese resterà incrostato nel gioco di potere fra politica, caste, poteri forti e sindacati vari. Questo è il problema fondamentale dell’Italia: non la sua moneta.
Photo credits | Gunnar Ries Amphibol (Own work (own photo)) [CC-BY-SA-3.0], via Wikimedia Commons
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allora stiamo pensando a GRANDI aziende che esportano,che hanno un mercato internazionale…cioè…una minoranza di aziende,spesso piene di debiti,(vedi il settore moda e automobili…) che contribuiscono al nostro debito pubblico,e ci dimentichiamo della vera realtà italiana, ossia la piccola impresa a conduzione familiare,che fa le cose per bene e per un limitato numero di persone…
Io non penso nemmeno che sia un problema di energia, perchè non siamo stupidi… prezzo della benzina,carissima in italia, è penalizzato da tutte le tasse e le accise che il nostro stato in fallimento ci fa pagare…. quindi….. concludo dicendo che secondo me…rimanere nell’euro (che tra l’altro non durerà per nessun’altro stato) è una grandissima stronzata, se non un sogno per gente che pensa al “know how” e al “made in italy” che non esiste più…. la fiat fa le macchine da anni in polonia,albania e cina,non prendeteci per il culo
-grazie--
Ma nel caso dovessimo tornare in lira e uscire dall’unione europea perderemo anche il diritto di andare in stati esteri senza visto come ad esempio in tunisia?
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Allora l’errore madornale e gigantesco che tutti stanno facendo e che danno per sotto inteso, e che, non esiste nessuna regola nei trattati dell’UE ne nello statuto della BCE sulle regole di uscita dalla moneta unica. Ci si può solo entrare. Per poter uscire è necessario uscire non dall’Euro, ma dall’Unione Europea. Ciò significherebbe tornare a una situazione pre 1951, pre CECA. Tutto ciò non è possibile, perchè porterebbe a disastrose conseguenze!!! Quindi inviterei Blog, giornali e riflettere prima di sparare su entrate o uscite. Grazie
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R: mai sentito parlare di SME, o di Maastricht (guardacaso, manco a farlo appsta, è proprio 20 anni fa, febbraio 1992)
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R: anche questo è indubbiamente un argomento poderoso! Mai sentito parlare di “bilancia dei pagamenti”? Se aumentano le esportazioni e diminuiscono le importazioni (perchè ad es l’iPhone o la Mercedes diventano più cari, e allora si preferisce comprare una Fiat prodotta in Italia, meno cara), la moneta nazionale (Nuova Lira?) si apprezza rispetto alle monete estere
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Il problema è mal posto. Usciremo dall’euro non perché lo vogliamo, o perché la svalutazione offrirà qualche beneficio alle nostre aziende. Usciremo perché i tedeschi hanno deciso di cacciare dall’euro i paesi in bancarotta e ci stanno riuscendo con ammirevole abilità tecnica. Punto.
Privo com’è di sovranità monetaria, il nostro stato, se non riprende a battere moneta, presto non potrà più finanziare i deficit di bilancio. Perciò non abbiamo scelta: usciremo. Oltre tutto, con le politiche procicliche attuate nella vana speranza di riacquistare un po’ di fiducia da parte dei mercati mobiliari, l’attuale governo ha semplicemente affrettato l’espulsione dell’Italia dall’euro. E’ tutto molto elementare, in realtà, e non possiamo farci nulla. Tanto meno ci sarà utile credere nelle favole. Le favole, in politica economica, non esistono. -
Non si parlava di spread perché l’Italia aveva un debito pubblico ben più contenuto. Il problema vero è che i politici italiani (Berlusconi tra tutti) hanno proseguito una politica economica “vecchia” ma con la moneta unica. Deficit senza possibilità di stampare moneta. Questo è stato il vero errore e la vera tragedia
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Si ma ce ne guadagnerebbero solo i proprietari di alberghi, non i dipendenti, che anzi da un ritorno alla lita ne uscirebbero ulteriormente impoveriti.
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L’uscita dall’euro sarebbe un disastro economico e potrebbe avere anche effetti sull’unità nazionale (che è sempre stato il nostro principale problema)
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Giovanni De Mizio sei solo un mezzo falsario, l’uscita dall’euro gioverebbe a tutte le imprese medio piccole che sono l’ossatura della nostra produzione e non certo la FIAT neo-mercantilista che potrebbe anche andarsene, solo il ritorno alla sovranità monetaria può ridare speranze fattive al nostro paese.
Uscire dall’EURO (pensato dall’economista francese Francois Perroux insofferente antidemocratico) non sarà certo un disastro, lo sarà solo per coloro che stanno usando la moneta unica per distruggire i diritti sociali e dell’uomo come di fatto sta avvendo, nell’articolo non hai mai accennato al pregio della sovranità monetaria (ritorno alla LIRA) ne ad una banca centrale che stampa denaro per incrementare la domanda o acquista titoli per calmierare gli interessi, inoltre trascuri i benefici dell’incremento dell’inflazione (ebbene si, vi ingannano quando dicono che l’inflazione è sempre un danno), cosa che non vogliono i dittatori della moneta unica, sei un incompetente o un falsario informati meglio su come funziona la moneta moderna, non fai che ripetere le solite falsità messe in giro dai liberisti sociali o dai neo-classici, prima si esce dall’EURO con un orderly default e meglio sarà per tutti e quando dico meglio per tutti intendo lavoratori, pensionati, disoccupati ed imprenditori, escluso i criminali neo-mercantilisti (Agnelli, Benetton, De Benedetti….etc..). -
Hai dimenticato un piccolissimo particolare:
Siamo il paese dove corruzione, mafia, ndrangheta, camorra, evasione fiscale e la politica si sono mangiato TUTTO.
Quando compreremo le materie prime all’estero (che sono FONDAMENTALI per la vita e le aziende di questo paese che è manufatturiero – noi purtroppo non le abbiamo) gliele pagherai con le lire che non varranno più niente ?E il debito di 2000 miliardi di euro lo restituirai felice del VANTAGGIOSO cambio che avrai svalutando la lira ?
Sicuramente un affare !
Tranquillo, continua a mangiare gli spaghetti del paese più bello del mondo ! -
tutto sciocchezze la svalutazione sarebbe solo una risorsa gli unici che ci rimetterebbero sono quelli che avanzano quindi una minoranza in rapporto al totale delle persone che invece migliorerebbero la loro situazione economica chi vuole rimanere nell’euro è soltanto perchè è attaccato a dei debiti che ormai tutti sanno essere divenuti inesegibie e insanabili la svalutazione ridimensionerebbe questi debiti togliendo quel gup di speculazione che li rende ingovernabili e insanabili.
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oggi le banche stanno acquistando titoli italiani con 7-8-% di interesse e li acquistano con le liquidita date loro dalla bce (quindi dalle banche centrali di ogni singolo stato ,anche la banca d’italia)all’1% o credo che sia arrivato allo 0,5% di interesse…….guadagnando un sacco di soldi con i nostri soldi……..cioe’ noi diamo soldi alle banche per prestarci soldi con gli interessi…………non usciremo mai piu’ da questo sistema……………e i soldi tenderanno ad uscire dal nostro stato per finire nelle tasche delle banche.
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Siamo entrati nell’euro per mano dei tedeschi, anche se non avevamo le carte in regola, dopo avere accettato un progetto di deindustrializzazione che ha reso poveri noi e ricchi loro. Lo dice chiaramente Nino Galloni, altissimo funzionario del tesoro all’epoca del sesto Governo Andreotti, in questa intervista. E ora non usciamo dall’euro per non distruggere Berlino. Lo dice altrettanto chiaramente questo articolo dello Spiegel, datato 13 giugno 2012, di cui riporto un estratto:
« Con un’uscita dall’Euro e un taglio netto dei debiti la crisi interna italiana finirebbe di colpo. La nostra invece inizierebbe proprio allora. Una gran parte del settore bancario europeo si troverebbe a collassare immediatamente. Il debito pubblico tedesco aumenterebbe massicciamente perché si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e investire ancora centinaia di miliardi per le perdite dovute al sistema dei pagamenti target 2 intraeuropei. E chi crede che non vi saranno allora dei rifiuti tra i paesi europei, non s’immagina neanche cosa possa accadere durante una crisi economica così profonda. Un’uscita dall’euro da parte dell’Italia danneggerebbe probabilmente molto più noi che non l’Italia stessa e questo indebolisce indubbiamente la posizione della Germania nelle trattative. Non riesco ad immaginarmi che in Germania a parte alcuni professori di economia statali e in pensione qualcuno possa avere un Interesse a un crollo dell’euro. » [Spiegel Online: Kurz vor dem Kollaps] (traduzione: Francesco Becchi)
Per chi lavora Monti? Perché Angelo Panebianco ancora ieri sul Corriere della Sera, nonostante sia ormai chiaro che l’uscita dall’euro è una manna per l’economia italiana e non rappresenta la catastrofe che volevano farci credere, arriva allora a dire che senza un vincolo esterno alla nostra democrazia (Nato, Usa, UE e così via) l’Italia politica, lasciata sola, si disgregherebbe arrivando a mettere in crisi la stessa esistenza dello Stato-nazione? Come si può accettare che qualcuno parli del nostro Paese in questo modo, come se potessimo esistere solo in un ambito di commissariamento continuo, sia esso oscuro (come nel caso dei governi precedenti a quello attuale) o manifesto (come nel caso del Governo Monti)? Non è forse alto tradimento accettare o insinuare l’idea che la nostra sovranità non basti a se stessa?
Ho incontrato Paolo Becchi alla stazione centrale di Milano, ieri. Mi sono fatto un panino. Da buon genovese, si è fatto offrire il caffè. Non ci eravamo messi d’accordo, ma eravamo entrambi indignati per lo stesso identico motivo: come è possibile accettare parole come quelle di Panebianco?
Questo il video che ho girato ieri. Questo, invece, l’articolo di Paolo comparso questa mattina su Libero.
BASTA CATASTROFISMI!
LIberarsi dei vincoli della moneta si può
Nella discussione sulla «crisi» della moneta unica e sulle possibilità di uscita dall’euro, ci siamo finalmente liberati di un tabù economico. Dopo le prese di posizioni di molti autorevoli economisti, anche alcuni dei partiti che sostengono l’attuale governo sono stati costretti ad ammettere che un ritorno alle monete nazionali potrebbe presentare, dal punto di vista economico, una serie di vantaggi.
Ma lo spettro della «catastrofe economica», scacciato dalla porta, rientra dalla finestra sotto mentite spoglie, quelle della «catastrofe politica». Si ammette che uscire dall’euro potrebbe rappresentare una soluzione meno dolorosa dell’agonia provocata dall’attuale unione monetaria, ma, nel contempo, si alza la posta in gioco: ciò provocherebbe, infatti, «forti rischi» sia per la democrazia politica che la stessa integrità dello Stato nazionale.
Tale è la tesi sostenuta da Angelo Panebianco, in un recente intervento sulle pagine del Corriere della Sera («Moneta unica e democratica», 21 Giugno 2012): la fine della moneta unica annuncerebbe, ora, una «catastrofica dissoluzione di quasi tutto ciò che è stato costruito in sessanta anni di integrazione europea». Secondo Panebianco, la stabilità del sistema politico e democratico italiano sarebbe inseparabile dalla presenza di un «vincolo esterno». L’Italia avrebbe, in altri termini, trovato la propria stabilità non tanto nelle proprie tradizioni culturali e politiche, quanto da una sere di vincoli e costrizioni esterne («la Nato e, per essa, il rapporto con l’America, la Comunità europea in subordine») senza le quali la stessa unità nazionale sarebbe stata destinata a disgregarsi dall’interno. Senza la moneta unica, sembra doversi concludere, verrebbe meno non tanto la stabilità economica dei Paesi europei, quanto la stessa esistenza dell’Italia, dello Stato-nazione.
Ora che lo spauracchio della «crisi economica» è stato smentito, ecco dunque farsi avanti l’incubo politico, ed il suo scenario catastrofista: democrazia a rischio, vuoti improvvisi di stabilità, forse la guerra civile. Ma noi non possiamo permetterci, soprattutto oggi, questa assuefazione alla catastrofe, questo senso di paura di vedere lo Stato disgregarsi («Né disgregazione né assuefazione», era il titolo di uno splendido editoriale di Claudio Magris, scritto nell’annus horribilis della Repubblica 1993).
La realtà è, tuttavia, rovesciata. È, infatti proprio la moneta unica che costituisce, oggi, il «vincolo esterno» che impedisce all’Italia di poter rivendicare la stessa sovranità e stabilità interna. È la moneta unica che è in crisi perché non è stata uno strumento efficiente nel favorire quel processo di unificazione politica dell’Europa a cui era preordinata. L’integrazione politica degli Stati era stata pensata al fine di evitare altri milioni di morti in Europa, ma ha finito per produrre miseria e desolazione.
La presenza di costrizioni ed influenze esterne sul nostro Paese, inoltre, è proprio ciò che ha impedito all’Italia di divenir nazione, per restare un Paese irrisolto e debole, una patria «mancata» e contestata, uno Stato-ombra, una provincia, un’espressione geografica. Proprio quei «vincoli esterni» hanno reso possibile l’«anomalia» italiana, la sua «nazionalizzazione contrastata ed imperfetta » (Soldani-Turi). Panebianco sembra confondere la «stabilità» di una nazione con la sua dipendenza economica e politica. E se si può dire che questo Paese è rimasto «stabile» proprio perché gli è stato impedito di divenire una nazione, allora, proprio dal punto di vista politico, varrebbe la pena di domandarsi se non sia finalmente giunto il momento di liberarsi da questa stagnante «stabilità».
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