Il reality sugli eredi del genocidio dei Khmer, la tragedia ‘‘on air’’ in Cambogia
Lo zoom della telecamera che esita sul volto tirato per l’emozione e l’angoscia di una donna di 33 anni. Moug Ramary era nel grembo di sua madre quando nel 1979, dopo la caduta del regime dei Khmer Rossi, i suoi genitori furono separati. Il conduttore della rete cambogiana “Bayon” esita, sapientemente, sui particolari che fanno salire gli ascolti. Dettagli della vita della donna, un’infanzia difficile, vissuta lontano dal papà. Lo stesso genitore che ascolta il discorso della figlia, in trepidante attesa 33 anni dopo, posto al di là del “muro” allestito nello studio televisivo, prima di riabbracciarla.
Sfruttare per fini commerciali e di ascolti televisivi il trauma emotivo vissuto dai reduci o dai discendenti delle vittime non conosce limiti e ha un prezzo. Almeno per una delle reti cambogiane che ha dato vita al reality “Non è un sogno”. La redazione del programma si occupa di cercare i famigliari perduti. Lo spettacolo ha debuttato nel 2010 ed è stato modellato seguendo le direttive di uno show in Vietnam, con alcuni membri di famiglie separati durante la guerra civile negli anni ’60 e ’70. In Cambogia, durante la dittatura del Partito comunista di Kampuchea (1975-1979), morirono circa 2,5 milioni di persone per motivazioni legate alla carestia, ai lavori forzati e alle esecuzioni.
Il regime divise con la forza intere famiglie con l’intento di distruggere i legami tradizionali. Vietò, inoltre, la scuola, la religione e qualsiasi altro insieme di credenze, in quanto considerate potenziali minacce per l’autorità del regime. Dopo la fine della dittatura, la maggior parte dei cambogiani ha marciato per giorni e settimane intere in cerca dei famigliari e dei luoghi di nascita. Altri cercarono parenti lungo il confine con la Thailandia, laddove c’erano alcune roccaforti dei Khmer. Tuttora, la gran parte dei cambogiani ha, come minimo, un parente il cui destino è incerto. La politica non ha mai supportato, attivamente, le persone per ritrovare i propri famigliari. La gran parte dei cambogiani sopravvive con un paio di dollari al giorno e non dispone di alcuna risorsa per condurre indagini fruttuose.
Il produttore del reality “Non è un sogno” ha detto al Time che il programma è stato realizzato per “colmare tale lacuna” e per “focalizzare l’attenzione dei più giovani su una dei periodi più bui della nostra storia”. Cambogiani e osservatori internazionali auspicano che il tribunale per crimini di guerra, istituito a Phnom Penh nel 2007, fornisca una base per la riconciliazione nazionale. Nel 2010, il capo di un centro di tortura è stato condannato a 35 anni di carcere, esteso recentemente a tutta la vita. C’è anche l’aspetto psicologico, che grava sui reduci di guerra e sui loro discendenti. Diversi studi hanno confermato che una percentuale che oscilla tra il 33 e il 55%, dei cambogiani che ha vissuto la dittatura, ha sofferto di stress post-traumatico. Tuttavia, poche persone hanno ricevuto cure adeguate e assistenza pubblica per la salute mentale.