Russia, la riforma economica passa dalla ‘‘nuova capitale’’: Vladivostok
Provocazione o reale possibilità? Gli analisti finanziari russi, e non solo, si interrogano su quali effetti potrebbe avere una decisione che avrebbe del clamoroso. Rinunciare al ruolo storico e politico di Mosca per “delocalizzare” e investire su una delle città simbolo dell’estremo oriente russo. Vladivostok si trova a più di 6mila chilometri da Mosca, in prossimità del confine con la Cina e la Corea del Nord. La proposta è venuta da Sergei Karaganov, studioso della “Moscow Higher School of Economics”, che, sulle colonne di un importante quotidiano nazionale, ha indicato quale potrebbe essere la ricetta migliore per un’efficace riforma economica: una capitale nell’est del paese farebbe parte di quello che chiama “un mondo in ascesa”, più vicina alle economie asiatiche rispetto a quelle in crisi dell’Europa.
L’idea di rinunciare a una capitale, in favore di un’altra, nella Storia ha diversi precedenti. Per esempio, i governanti britannici in India scelsero la più centrale Delhi, rispetto alla città costiera di Calcutta, nel 1911, salvo poi creare Nuova Delhi. Negli anni ’20 i nazionalisti turchi trasferirono la capitale da Istanbul ad Ankara, dando vita a una rapida crescita economica nella Turchia centrale. Recentemente, il Brasile ha trasferito la propria capitale da Rio de Janeiro a Brasilia, situata in una posizione del paese più centrale; il Kazakistan ha trasferito la sede governativa da Almaty ad Astana, per una questione di maggiore vicinanza alla Russia.
E di questo cosa ne pensa il presidente Putin? Improbabile che l’ex agente segreto del Kgb voglia seguire tali esempi. Ma una riforma economica è necessaria e impellente. La Russia, attualmente, non è un paese con un’economia emergente. E’ una nazione in cui la ricchezza, data dal petrolio, viene spartita tra gli oligarchi. Putin cita spesso i tassi di crescita del reddito medio passati, nel giro di dieci anni, dai 2mila ai 14mila dollari l’anno. Questa statistica, però, è incompleta perché l’incremento non è stato uniforme. Mosca ha “78 miliardari”, più di qualsiasi città al mondo. Questi oligarchi, insieme agli altri sparsi nel paese, rappresentano il 20% del Pil nazionale. Un dato di gran lunga superiore alle altre nazioni. La ricchezza concentrata nelle mani di poche persone non lascia molto spazio ai 141 milioni di persone nel paese.
Il destino di Mosca, poi, è da sempre legato al prezzo del greggio. I dati mostrano come le scorte russe abbiano fatto registrare un incremento o una diminuzione a seconda dei prezzi del petrolio. L’aumento dei prezzi del greggio ha favorito il sistema di corruzione che in Russia è endemico. Ora che la crescita globale sta rallentando, è necessaria una riforma dell’economia che consenta una maggiore libertà per le imprese private. La Russia e la gente hanno bisogno di un sistema finanziario di cui potersi fidare. Putin, dopo la sua rielezione, ha promesso di aumentare gli investimenti passando dal 20 al 27% del Pil. Ora il presidente russo deve fronteggiare anche l’opinione pubblica che nel tempo è cresciuta, assumendo i connotati di una rumorosa opposizione. Il Cremlino ha accolto con favore la settimana scorsa un nuovo governo, anche se formato da facce note della politica russa. Se non ci sarà un’inversione di rotta, la situazione potrebbe degenerare e, questo, Putin lo sa bene.