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Diritto di critica | December 18, 2024

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Hina, Sanaa e Asif. Quell'onore difeso con la morte

Hina, Sanaa e Asif. Quell’onore difeso con la morte

di Giovanni Giacalone

Li chiamavano delitti d’onore. Oggi come ieri l’onore da difendere è quello della famiglia. Una tragedia che si rinnova troppo spesso. Tutti tristemente ricordano le vicende di Sanaa Dafani e Hina Saleem, uccise rispettivamente nel 2009 a Pordenone e nel 2006 a Brescia.

Sanaa, diciottenne di origine marocchina, venne sorpresa in auto con il fidanzato, inseguita e accoltellata a morte da suo padre, il quale ferì anche il ragazzo, sopravvissuto solo per circostanze fortuite. Un padre morbosamente geloso della figlia, che non tollerava la relazione con un italiano per giunta appartenente a un altro credo, o forse non accettava che la ragazza potesse avere una relazione, a prescindere da chi fosse il compagno.

Hina invece, ragazza pakistana poco più che ventenne, venne condannata a morte dalla propria famiglia dopo una vera e propria riunione a cui parteciparono padre, fratelli ed altri parenti maschi. La ragazza venne attirata in casa con un pretesto e uccisa a coltellate per poi essere sepolta nel giardino di casa. La famiglia considerava intollerabile il fatto che Hina fosse andata a convivere con il fidanzato, un italiano non musulmano, opponendosi al matrimonio combinato che i genitori avrebbero cercato di organizzare in Pakistan.

Lo scorso sabato a Molinella, in provincia di Bologna, la stessa triste sorte è toccata ad Asif Khalid, ventisettenne pakistano picchiato a morte dalla famiglia della ragazza con cui si frequentava da tempo. Secondo gli investigatori, Asif è stato attirato in casa con un pretesto per poi venire massacrato dai parenti della ragazza con calci, pugni e oggetti contundenti. Il corpo è poi stato spostato in un altro locale e vegliato fino a quando ha cessato di vivere. La madre e gli zii della ragazza sono stati arrestati mentre il padre risulta tutt’ora latitante.

Ancora una volta ci si trova a dover fare i conti con una triste realtà che va ben oltre il discorso religioso o culturale, anche perché definirlo tale sarebbe offensivo nei confronti di qualunque credo o cultura nel vero senso del termine. Si tratta piuttosto di atteggiamenti primitivi legati ad una mentalità retrograda di clan che porta a considerare la donna proprietà della famiglia, una famiglia che si sente autorizzata a decidere sulla vita e purtroppo spesso anche sulla morte delle persone nel momento in cui i propri interessi vengono messi in pericolo.

I matrimoni combinati sono una triste realtà di molti paesi anche non musulmani e sono spesso legati ad interessi economici; in molti casi le ragazze vengono date in spose a parenti come zii e cugini, non di rado con notevole differenza di età.

Vi è poi un ulteriore elemento su cui ponderare, ovvero il problema dell’integrazione apparente: famiglie di immigrati che vivono e lavorano nel contesto sociale italiano ma a livello psicologico e domestico continuano a vivere come se fossero ancora nel proprio villaggio d’origine, non rispettando le leggi e gli usi vigenti nel paese di nuova residenza.