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Diritto di critica | November 8, 2024

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Paese Italia, dove non vale la pena essere bambini - Diritto di critica

Paese Italia, dove non vale la pena essere bambini

L’Italia non è un paese per bambini. Né lo è mai stato particolarmente, almeno stando a quanto rilevato da Save The Children, che nel dossier “Il paese di Pollicino” ha messo sotto accusa le politiche sociali per famiglie con minori (non) portate avanti dai governi italiani degli ultimi anni a fronte di numeri tanto chiari quanto inquietanti: un minore su quattro – circa il 22,6% dei bambini che vivono  nel nostro Paese – è oggi a rischio povertà, cioè vive in una famiglia con un reddito troppo basso per potergli garantire una sana crescita fisica, psichica, intellettuale e sociale.

E se la crisi non ha contribuito a migliorare la situazione – anzi, negli ultimi anni la percentuale di minori a rischio povertà si è paurosamente alzata – di certo secondo Save The Children non ne è neanche la causa primaria. Tutt’altro. «Vale la pena sottolineare che la crisi non è l’orco cattivo delle fiabe – commenta Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia -. Le povertà minorili sono indubbiamente aggravate dagli effetti della recessione mondiale ma non nascono certamente oggi. Vengono da molto più lontano». Precisamente verrebbero dalla scarsità di iniziative politiche e sociali a sostegno del settore familiare : i dati in mano all’organizzazione – frutto di un’elaborazione inedita dei dati della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane, realizzata appositamente per Save The Children – parlano infatti di un’Italia che nel 2009 investiva della propria spesa sociale nel comparto pensione quasi 5 punti percentuali in più del Pil rispetto alla Germania (unico Paese europeo il cui indice di vecchiaia è più elevato di quello italiano) e appena l’1,4% nel settore famiglia. A fronte di una media UE del 2,3%. Non solo: se nel 2007 il fondo nazionale delle politiche sociali ammontava ad un miliardo di euro, con il passare degli anni esso è stato costantemente eroso fino ad arrivare ai 45 milioni di euro nel 2013. Una situazione generale che testimonia una costante riduzione di finanziamenti ed interesse per famiglie, infanzia e maternità, aggravata inoltre da una differenza di standard da una regione all’altra: se in Emilia Romagna il 29,5% dei bambini tra 0 e 2 anni usufruiscono degli asili nido, ad esempio, in Campania la percentuale scende a 2,7%.

Questi dati, secondo Save the Children, hanno contribuito a creare una situazione estremamente precaria e fragile, che la mazzata della crisi economica mondiale non ha fatto altro che aggravare. Quel 22,6% di bambini a rischio povertà si classifica infatti come il più alto degli ultimi 15 anni, con una crescita del 3,3% rispetto al 2006 ed uno spread – un differenziale rispetto agli adulti nella stessa condizione – dell’8,2% (i maggiorenni in condizioni di disagio economico sono infatti il 14.4% della popolazione italiana). «Mentre si parla tanto e giustamente dello spread fra i titoli pubblici italiani e quelli tedeschi, mai si sente parlare di quest’altro spread che riguarda la povertà, e in particolare la povertà minorile. – afferma ancora Neri – Non è stato fatto il necessario per evitare questa terribile deriva che colpisce proprio coloro che rappresentano il presente e il futuro del paese. Basti pensare che, fino ad oggi, non solo l’Italia non si è data obiettivi mirati circa la riduzione della povertà minorile, ma non esiste nessun piano di intervento al riguardo». Secondo il dossier dell’organizzazione – diffuso in occasione del lancio della nuova campagna “Ricordiamoci dell’infanzia” – sono maggiormente a rischio povertà i bambini con un solo genitore, quelli appartenenti a famiglie numerose, quelli del Mezzogiorno (al Sud quasi 2 minori ogni su 5 sono poveri) e i figli di genitori trentenni. Un dato, quest’ultimo, che negli ultimi 15 anni ha visto un aumento di 10 punti percentuali anche a causa della progressiva precarizzazione del lavoro: l’incidenza di povertà nelle famiglie con minori è in media del 21,5%, ma nel caso di coppie con meno di 35 anni con figli il dato è del 47,8%.