L'avanzata dell'Islam radicale che spaventa l'Occidente - Diritto di critica
L’ANALISI – A più di un anno dallo scoppio della primavera araba, diversi paesi musulmani vivono forti instabilità ed incertezze che rischiano di stravolgere pesantemente gli equilibri del delicato scacchiere Medio Orientale. Ciò che preoccupa maggiormente gli esperti è la minacciosa avanzata dell’Islam radicale che sta facendo breccia su più fronti.
In Egitto la schiacciante vittoria dei Fratelli Musulmani e del blocco salafita al-Nour alle elezioni parlamentari dello scorso inverno ha messo in allerta i laico-liberali, consapevoli del fatto che una costituzione basata sulla sharia creerebbe notevoli problemi sia ai laici che ai cittadini non-musulmani, come ad esempio la numerosa comunità copta. Basti pensare alla reazione di alcuni parlamentari salafiti che hanno lasciato l’aula, mentre altri si sono rifiutati di alzarsi durante il minuto di silenzio osservato per ricordare Shenouda III, papa della Chiesa ortodossa copta, scomparso lo scorso 17 marzo.
Altra fonte di preoccupazione è il turismo: gli islamisti hanno affermato di volerlo fondare esclusivamente sulla storia e la cultura, ridimensionando quello balneare in quanto non consono alla morale islamica, turismo balneare che porta ogni anno più di 15 milioni di persone nelle rinomate località egiziane sul Mar Rosso, come Sharm el-Sheikh e Mars Allam. Si tratterebbe di un danno enorme per l’economia egiziana.
Vi sono poi possibili ripercussioni a livello internazionale in quanto i rapporti con l’Occidente potrebbero deteriorare e la pace con Israele essere messa in discussione, con tutte le potenziali drammatiche conseguenze che rischiano di portare a un’escalation di violenza.
In Tunisia, da quando il partito islamista Ennhada è al potere, si sono intensificati gli attacchi dei militanti salafiti nei confronti di giornalisti, docenti, avvocati, artisti e studenti. Alcuni militanti sono entrati nelle università e hanno contestato studentesse e professoresse in quanto non vestite in modo islamico.
Altro fatto inquietante è stato il tentativo di alcuni salafiti di ammainare la bandiera tunisina per sostituirla con una islamista; gesto eloquente che potrebbe rappresentare in modo inequivocabile il tentativo di trasformare la società tunisina, da sempre laica e aperta al pluralismo religioso, in una teocrazia violenta ed intollerante.
In Nigeria la situazione è invece degenerata da tempo con attacchi sistematici da parte delle milizie di Boko Haram nei confronti dei cristiani, spesso assassinati nelle chiese e nel mezzo di cerimonie religiose. I miliziani non risparmiano neanche i musulmani moderati che si oppongono alla loro violenza.
In Mali fazioni di estremisti hanno assaltato numerose biblioteche e centri culturali della capitale, Bamako, incluso il centro “Ahmed Baba”, fondato dall’Unesco per proteggere 18 mila antichi manoscritti provenienti da Marocco e Andalusia. A Timbuktu invece terroristi del gruppo Ansar Dine hanno attaccato il mausoleo con la tomba di Sidi Mahmoud Ben Amar, un santo molto venerato nella città ed hanno anche minacciato di morte i pellegrini, accusandoli di condotta anti-islamica.
Vi è poi la delicatissima situazione in Afghanistan dove a poco più di un anno e mezzo dal ritiro delle truppe NATO dal paese i talebani, probabilmente aiutati da alcuni rami dei servizi segreti pakistani, continuano ad agire indisturbati in diverse zone del Paese, fino a riuscire a mettere a ferro e fuoco palazzi istituzionali e basi militari nel centro della capitale Kabul ed è proprio di due giorni fa la notizia dell’uccisione di un alto esponente del Consiglio di pace afghano, Maulvi Arsala Rahmani. Tutto ciò preoccupa la Nato, consapevole del fatto che il governo Karzai non avrebbe lunga vita senza il supporto della coalizione e dunque l’Afghanistan rischierebbe di cadere di nuovo in mano ai talebani.
C’è poi il problema della Siria: cosa accadrà una volta caduto il regime di Assad? Se andasse al potere un governo islamista anche a Damasco?
Sono chiaramente scenari complessi su cui è difficile fare previsioni accurate, ma non ci sono dubbi sul fatto che mai come prima si era visto un tale fermento islamista coinvolgere in contemporanea diversi paesi in Africa, Medio Oriente ed Asia meridionale.
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L’avanzata dell’impero che spaventa il medio oriente (e tutti coloro dotati di buon senso).
L’analisi:
E’ un fatto che in quei paesi del medio oriente laddove gli ammmericani, assieme alla nato, sono intervenuti per esportare la nostra gloriosa democrazia a suon di bombe, o in quelli dove i loro servizi di intelligence hanno lavorato e continuano a farlo per far cadere governi a loro non sottomessi o compiacenti, il livello di instabilità sociale e di criminalità raggiunge emblematicamente i picchi più elevati.
Un chiaro esempio ne è l’Afghanistan come riporta esaustivamente Nadia Davini.“Quali effetti ha prodotto la guerra all’oppio lanciata dagli Stati Uniti all’inizio delle operazioni in Afghanistan contestualmente a quella al terrorismo? A rispondere sono i numeri che ci mostrano una realtà ben chiara: dal 2001, cioè dall’inizio dell’occupazione militare americana, non solo in Afghanistan la produzione di oppio non è diminuita, ma è addirittura aumentata in modo esponenziale, mentre, allo stesso tempo, è crollata quella del Triangolo d’oro del sud-est asiatico (che ha visto il suo boom negli anni’70 durante la guerra in Vietnam).La produzione afghana di oppio ha iniziato a muoversi durante l’invasione sovietica e ci sono moltiriferimenti che indicano come gli Stati Uniti finanziassero con i proventi dell’eroina i mujaheddin in funzione anti-sovietica.L’Afghanistan si portò così al 15-20% di produzione mondiale, anche se il Triangolo d’oro continuava ad essere dominante nel settore. Quando i sovietici si ritirarono, la produzione era ormai consolidata e rimase tale fino al 2000, anno in cui il mullah Omar, con lo scopo di guadagnare sostegno internazionale al suo regime, emise un primo editto con il quale vietava la produzione di oppio. L’effetto fu immediato, tanto che l’anno successivo ci fu un crollo consistente nella produzione, arrivando ai livelli minimi del 7-8 per cento.Con l’arrivo degli americani la situazione è cambiata completamente: non solo la produzione di oppio è aumentata di anno in anno, raggiungendo percentuali di gran lunga superiori a quelle dell’occupazione sovietica, ma è arrivata a trasformare l’Afghanistan, in meno di dieci anni, nel principale produttore mondiale di eroina (93 per cento della produzione mondiale).
Addirittura autorevoli giornalisti, come lo statunitense Eric Margolis dell’Huffington Post e l’afghana Nushin Arbabzadah del Guardian, hanno più volte scritto del coinvolgimento dei militari Usa e della Cia nel traffico di droga in Afghanistan. “Le esperienze passate in Indocina e Centroamerica – scrive Margolis – suggeriscono che la Cia potrebbe essere coinvolta nel traffico di droga afghana in maniera più pesante di quello che già sappiamo. In entrambi quei casi gli aerei Cia trasportavano all’estero droga per conto dei loro alleati locali”.Spero non me ne voglia, caro Giovanni, se continuo a sentire l’esigenza di, come dire…”riequilibrare i suoi articoli”.
Buona giornata.
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