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Diritto di critica | November 25, 2024

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Primavera Araba un anno dopo, le forze laiche rischiano di soccombere - Diritto di critica

Primavera Araba un anno dopo, le forze laiche rischiano di soccombere

di Giovanni Giacalone

Una trentina di morti, più di trecento feriti e centinaia di arresti, è questo il bilancio degli scontri avvenuti al Cairo nelle giornate di giovedì e venerdì. Il parlamento, a maggioranza islamista, si è autosospeso per protestare contro l’attuale governo tutt’ora sostenuto dai militari e circa duemila persone si sono riversate nelle strade per chiedere la restituzione del potere alla popolazione.

Gli scontri hanno avuto luogo principalmente nella zona di piazza Abbasseya e lungo il viale che porta al ministero della difesa. Con la polizia che afferma di essere stata costretta ad intervenire con idranti e gas lacrimogeni in quanto attaccata con molotov e pietre dai manifestanti che hanno tentato di avvicinarsi al ministero. I manifestanti sostengono invece di essere stati assaliti da militari e poliziotti in borghese, i quali hanno anche fatto irruzione in una moschea, compiendo numerosi arresti. Non è da escludere però che negli scontri siano anche stati usati i temuti baltagheya, piccoli delinquenti già utilizzati dal vecchio regime per intimidire e attaccare la popolazione. Secondo altre fonti, alcuni sostenitori del candidato salafita Abu Ismail sarebbero stati attaccati e uccisi con colpi di arma da fuoco durante un sit-in nei pressi del ministero. In molti sono rimasti intossicati dai gas lacrimogeni e gli ospedali, nel caos più totale, hanno iniziato a respingere i feriti. La polizia ha poi imposto un coprifuoco nella notte tra venerdì e sabato in tutta la zona degli scontri.

A più di un anno dal quella “primavera araba” che portò alla caduta del regime di Mubarak e a venti giorni dalle elezioni presidenziali in Egitto si continua a morire.

Il parlamento è tutt’ora senza una maggioranza legittima e il paese è guidato da un esecutivo non eletto dai cittadini. Il generale al-Tantawi, capo della giunta di transizione, ha dichiarato che abbandonerà il potere nel momento in cui vi sarà una vittoria al primo turno di uno dei candidati, condizione altamente improbabile vista l’esclusione dei tre principali aspiranti alla corsa: il salafita Abu Ismail, Khairat El Shatter dei Fratelli Musulmani e Omar Suleyman, ex uomo di Mubarak.

La popolazione egiziana è divisa: gli islamisti affermano di voler creare uno stato che applichi alla lettera la Sharia e ciò preoccupa sia la numerosa comunità cristiana d’Egitto che le giovani forze, laiche e moderate che sono state la forza trainante della “primavera egiziana” e si ritrovano oggi paradossalmente fuori dai giochi.

Una vittoria degli islamisti rischierebbe di trascinare l’Egitto nel baratro in quanto potenziali posizioni anti-occidentali porterebbero il paese verso un isolamento che non può certo permettersi. In aggiunta una rigida applicazione della legge islamica andrebbe ad intaccare anche sul turismo, risorsa da sempre fondamentale per l’economia egiziana. Le conseguenze di una deriva islamista potrebbero dunque essere drammatiche per il paese, vista anche la pesante crisi economica, l’elevatissimo tasso di disoccupazione e la povertà che imperversa nel paese.

L’esercito, invece, non sembra voler mollare la presa anche perché decenni di dittatura militare non si cancellano facilmente.

L’Egitto è poi un paese di importanza fondamentale da un punto di vista geo-politico: è nel cuore del Mediterraneo, è un ponte tra Africa e Medio Oriente e ha firmato un trattato di pace in vigore con Israele che rischierebbe di essere messo in discussione in caso di trionfo islamista.

Bisognerà dunque attendere le elezioni del 23-24 maggio per il primo turno e un potenziale secondo turno a metà giugno in caso non si raggiungesse la maggioranza assoluta, solo allora forse si riuscirà ad avere una panoramica più chiara e definita sui potenziali sviluppi.