Il Brasile e quel nuovo Codice Forestale che uccide l'Amazzonia - Diritto di critica
Non sono state sufficienti le pressioni e le proteste delle associazioni ambientaliste di tutto il mondo, né è bastata la lunga lista nera di omicidi legati alla terra e alla foresta, quella foresta che in Brasile pare valere più dell’oro e che continua a fare gola a tanti. A troppi e troppo potenti. Lo scorso mercoledì, infatti, la Camera dei deputati brasiliana ha approvato in via definitiva la legge sul nuovo Codice Forestale, che prevede un deciso allentamento nei controlli sulla deforestazione e sullo sfruttamento delle aree forestali, in particolare quelle amazzoniche. Con 274 voti favorevoli e 184 contrari, il nuovo regolamento è ora nelle mani del Presidente brasiliano Dilma Roussef: a lei la scelta di respingerlo o di trasformarlo in legge a tutti gli effetti. E a lei si sono appellate le associazioni ecologiste come Greenpeace, secondo cui questa nuova versione del Codice Forestale potrebbe segnare «l’inizio della fine delle foreste».
Il nuovo Codice Forestale. L’attenzione è concentrata in particolar modo sulle aree forestali amazzoniche, universalmente riconosciute come il “polmone verde” del mondo e fino ad oggi tutelate da leggi particolari che ne hanno permesso la sopravvivenza. Secondo la versione del Codice Forestale risalente al 1965 e ancora in vigore, infatti, i proprietari terrieri sono obbligati a mantenere intatta almeno una certa percentuale di foresta nativa sui propri terreni – percentuale che nel caso delle aree amazzoniche raggiunge l’80% dei possedimenti – mentre alcune aree forestali particolarmente delicate (quali ad esempio quelle sulle rive dei fiumi) sono inserite nella categoria di area protetta permanente. La nuova versione del Codice, invece, andrebbe ad allentare proprio le restrizioni sulle aree più sensibili, permettendo il disboscamento anche sulle vette di colline e montagne (fino ad ora protette), e concederebbe il condono delle multe per i responsabili di disboscamenti illegali fino al 2008 e la concessione del “credito agricolo” a chi ha deforestato, con la conseguente possibilità di costruzione di fattorie nelle zone dissodate in maniera illecita prima del luglio 2008.
La “catastrofe” delle foreste brasiliane.«I coltivatori – ha affermato al riguardo Paolo Piau, autore della riforma del Codice Forestale – avranno così più stabilità e sostegno politico. La produzione e l’ambiente non potranno che beneficiarne. Con una legge confusa, non ci sono invece benefici». Un punto di vista, questo, non condiviso dall’opposizione, secondo cui «con questa nuova legge – così ha affermato il deputato d’opposizione Sarney Filho – stiamo per modificare tutti quegli aspetti che avevano portato ad un decremento del tasso di deforestazione», né dalle associazioni ecologiste, che vedono nella modifica del Codice Forestale una «catastrofe», soprattutto in vista della conferenza Onu sulla sostenibilità ambientale prevista a Rio dal 20 al 22 giugno prossimi. Secondo uno studio dell’Università di Brasilia riportato sul sito di Greenpeace, infatti, se il nuovo Codice Forestale diventasse legge si verificherebbe entro il 2020 un aumento del 50% della deforestazione in Amazzonia ed il Brasile potrebbe perdere 22 milioni di ettari di foresta pluviale: un’area pari a quella del Regno Unito o dello stato del Minnesota.
Foresta che uccide. Le questioni relative alla terra e alle ricche aree forestali in Brasile sono una ferita aperta da molti anni. Nella zona – particolarmente importante dal punto di vista ecologico – si scontrano ferocemente interessi di diversa natura ma egualmente potenti: dell’industria del legno, del commercio di carne bovina – di cui il Brasile è uno dei maggiori esportatori mondiali e che richiede sempre nuovi pascoli – ma anche dell’estrazione mineraria e dello sfruttamento infrastrutturale dell’area (strade, ferrovie, dighe). Interessi che negli ultimi anni hanno condotto ad uno scontro sempre più feroce anche con quei contadini e quegli ambientalisti che vi si sono opposti: i dati della Commissione Pastorale per la Terra (Cpt) della Chiesa cattolica brasiliana infatti parlano di più di 1.500 omicidi negli ultimi 25 anni per questioni legate allo sfruttamento della terra in Brasile.