Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | December 25, 2024

Scroll to top

Top

La tratta dei giovani calciatori africani, quando il sogno diventa incubo - Diritto di critica

La tratta dei giovani calciatori africani, quando il sogno diventa incubo

Li chiamano i “nuovi schiavi del calcio”, un esercito la cui stima approssimativa parla di ventimila unità, reclutati tra giovani minorenni provenienti dall’Africa. Bambini con il mito dei calciatori di successo come Eto’o, Drogba o Essien, ai quali viene prospettato un futuro roseo, ma al quale segue, nella gran parte dei casi, una realtà di sfruttamento e violenza. Secondo il Fattoquotidiano, attualmente, sono circa 2mila i giocatori provenienti dal continente africano, ma sono almeno dieci volte di più i minorenni utilizzati come manodopera, a basso costo, nella criminalità organizzata. “E’ un fenomeno in continua crescita – ha detto al fattoquotidiano.it l’ex nazionale del Camerun Jean-Claude Mbvoumin –. Piccoli africani, poco più che bambini, sono adescati da falsi procuratori che chiedono soldi alle loro famiglie in cambio della promessa di un futuro nel calcio”.

La Francia è una delle mete ‘sensibili’. “Ne arrivano migliaia ogni anno. Poi – ha precisato Mbvoumin, che ha fondato l’associazione ‘Foot Solidaire’ per combattere la tratta –, da quando si è aperto il mercato a Est, i numeri stanno salendo sempre più. E’ un problema enorme, moltissime famiglie si indebitano con questi procuratori, anche per decine migliaia di euro, convinte di assicurare un futuro ai loro figli. Ma pagano per la loro rovina”. E l’odissea in Europa, può avere dei contorni macabri: “Molto spesso la fine del viaggio, non coincide con il ritorno a casa. Nel migliore dei casi – ha sottolineato Mbvoumin –, i ragazzi non trovano nessuno ad aspettarli nella ‘terra promessa’ e devono inventarsi il modo di rientrare. Nella peggiore delle ipotesi, gli stessi finiscono nelle grinfie delle mafie locali, che li utilizzano come manodopera a basso costo”.

Uno degli episodi, che fornisce la testimonianza di come i sogni dei ragazzi africani spesso si tramutino in incubi, è fornito da Becky Harvey di ‘Stop The Traffik’, un’altra delle associazioni impegnate: “Q         ualche anno fa, 34 ragazzi della Costa D’Avorio partirono con in mano quello che pensavano essere il contratto di una vita, con delle società di calcio europee. Si ritrovarono in Mali, invece, a lavorare incatenati come schiavi. Sono stati in grado di denunciare l’accaduto solamente perché alcuni di loro sono riusciti a sfuggire”. I più sfortunati, invece, spariscono nel nulla.

La compravendita dei calciatori minorenni è vietata dall’articolo 19 del Regolamento Fifa sullo Status e sul Trasferimento dei giocatori, che recita: “I trasferimenti internazionali dei calciatori sono consentiti solo se il calciatore ha superato il 18° anno di età”. Sono previste, però, delle eccezioni: il trasferimento di un giocatore di 16 anni è consentito all’interno dell’UE o dell’ AEE, per via della sentenza Bosman (che liberalizza il mercato del calcio europeo); se i genitori del ragazzo si sono trasferiti nel Paese della nuova società per motivi indipendenti dal calcio; se è in essere un accordo di collaborazione tra accademie giovanili dei due club (con adeguato alloggio, mantenimento e istruzione). E su queste eccezioni, secondo l’ex nazionale Mbvoumin, s’innestano i sedicenti procuratori: “Falsificano i documenti dei ragazzi, oppure fabbricano falsi attestati in cui risulta che i genitori lavorano in Europa”. E per la Fifa è impossibile controllare tutto, specie se i ragazzi giocano in squadre amatoriali, e non riconosciute.

Si sono registrati, anche, trasferimenti di minorenni ad opera di procuratori internazionali di indubbia fama, con giovani venduti dietro un compenso di decine di migliaia di euro. La ricetta giusta, però, secondo Mbvoumin, è una sola: “L’unica forma di contrastare questo schiavismo è sul campo. Così dovrebbe fare anche la Fifa, ma le risorse che dedica alla prevenzione di questo fenomeno sono minime. Con il business del calcio che si diffonde verso nuove frontiere, il problema è destinato a rimanere e a crescere”.