La Serbia attira gli investitori e “acciuffa” anche “Danieli”: l’Italia che fa? - Diritto di critica
Circa mezzo miliardo di euro: sarebbe questa la cifra d’investimento di “Danieli” in Serbia, storica azienda siderurgica di Udine. A riportare la notizia era stato, il 22 marzo, il quotidiano serbo “Blic” secondo cui gli italiani avrebbero visionato diverse località per poi orientarsi verso ovest, a Šabac.
La città è stata preferita a Kragujevac, nonostante qui si trovi la “Fiat” che poteva vendere alcuni prodotti dell’azienda, per la possibilità di avere a disposizione un’ area più vasta. Dalla metà dello scorso anno, ad occuparsi delle trattative con “Danieli” è l’“Agenzia per la promozione degli investimenti esteri e delle esportazioni” (SIEPA), fino ad arrivare ai “piani alti” direttamente nelle mani del manager Aleksandar Miloradović. Lo stesso era rimasto cauto, dichiarando: “Spetta al governo fare di tutto per far firmare il memorandum che rappresenterebbe una prima prova concreta dell’investimento”. La sua cautela, ha osservato il “Blic”, “è giustificata dall’attuale crisi italiana che nessuno immaginava così profonda” ma, in ogni caso, la sua impressione dopo l’incontro coi rappresentanti aziendali è quello di un “investitore serio”. Speranzoso si mostrava anche il sindaco della città Miloš Milošević poiché ciò avrebbe portato almeno 1000 posti di lavoro mentre altre 1.500 persone verrebbero impiegate sporadicamente.
Tali speranze non sono state disattese: il 29 marzo, L’Ad di “Danieli”, Franco Alzetta è volato in Serbia e ha firmato il MoU. Dall’altra parte, c’erano Nebojsa Ciric, ministro dell’economia serbo e Miloš Milošević. La cerimonia si è svolta nella sede della presidenza serba, alla presenza di Boris Tadic, segno dell’importanza che il Paese dà a queste opportunità.
Come ha riportato l’Ansa, le dichiarazioni dello stesso Tadić non lasciano spazio a dubbi: «Investimenti come quello che prevede di fare il gruppo Danieli sono estremamente importanti per la Serbia, impegnata in tempo di crisi a ristrutturare la sua economia e ad avvicinarsi agli standard europei». Il tutto porterà in Serbia di nuove e sofisticate tecnologie. Alzetta, però, ci tiene a precisare come la strategia del gruppo sia rivolta all’internazionalizzazione e non alla delocalizzazione.
Da tempo, la Serbia, offre offerte vantaggiose a chi decide di investirvi. Già nel 2009, il Ministero degli Affari Esteri italiano, stimava una quota di 800 milioni di euro attestandosi tra i primi cinque investitori in Serbia. Per ciò che riguarda la delocalizzazione, il numero di aziende italiane che si sono spostate in Serbia negli ultimi anni risultava quasi triplicato e nel quadro del processo di privatizzazione, figurano al secondo posto per numero di società acquistate. Nello stesso sito web della “SIEPA” sono numerose le notizie forniti agli eventuali investitori. Cosa ne pensano i serbi? Nel già citato articolo del “Blic”, i commenti si rivelavano contrastanti: c’è chi ha definito l’investimento «la parola magica dei poveri» facendo notare come chi va in Serbia a produrre goda di grossi vantaggi tra cui quello di ottenere fino a 10.000 euro per ogni posto di lavoro creato e chi invece obbietta parlando del bisogno di lavorare di molti affermando che parlare di “un migliaio di posti di lavoro insignificanti” sia cinico. Simili azioni e di soprattutto di tale portata potrebbero aiutare il Bel Paese a uscire dalla crisi o significherebbe autovotarsi alla schiavitù? È risaputo che uno dei problemi più significativi sia rappresentato dal costo del lavoro, avvertito come alto dalla maggiorparte delle aziende e basso dalle statistiche che confrontano i salari degli altri stati industrializzati, insieme alla burocrazia. O non resta che aspettare, a braccia conserte, Hu Jintao, novello salvatore della Patria?
Twitter @Silvia_Ilari