Hijab in campo, la Fifa fa un passo indietro, ma la religione non c'entra - Diritto di critica
di Giovanni Giacalone
Marcia indietro della FIFA che sembra voler ridiscutere il divieto di indossare il hijab, il velo islamico, durante le competizioni calcistiche femminili. Il divieto, in vigore dal 2007 e oggetto di accuse islamofobiche, è costato alla nazionale di calcio femminile iraniana la partecipazione alle olimpiadi di quest’anno.
Le reazioni a tale notizia sono state numerose e differenti: Asma Genifi dell’associazione “Ni putes, ni soumises” ha definito il provvedimento una totale regressione in quanto il velo è simbolo di dominazione maschile. I sostenitori del hijab vedono invece nella decisione della FIFA un bel modo per portare lo sport nel mondo femminile.
Al di là del “giusto o non giusto” e delle discutibili motivazioni legate alla sicurezza delle atlete, che avrebbero portato a questo divieto, ci sono però ulteriori elementi di notevole complessità che non vanno sottovalutati.
In primis è necessario ricordare che l’Islam non è un blocco monolitico; teoricamente non prevede una classe sacerdotale e non ha un’autorità centrale che può stabilire le direttive generali a cui tutti i musulmani devono attenersi. All’interno dell’Islam vi sono diverse scuole di pensiero con molteplici interpretazioni, anche per quanto riguarda il velo.
Non è un caso che molti paesi musulmani come Marocco, Tunisia, Egitto, Giordania, Turchia, per citarne alcuni, non obbligano le donne a portare il velo, ma lasciano che sia la singola persona a decidere cosa fare, secondo la propria interpretazione. Ciò non è così in stati teocratici quali Iran ed Arabia Saudita, che impongono invece un rigido codice di abbigliamento.
Il termine “hijab” non appare mai nel Corano che rimane molto generico sull’uso del velo. I sostenitori di questo indumento basano le proprie convinzioni su alcuni versetti (24:30-31 e 33:58-59) che sono comunque oggetto di molteplici interpretazioni, sia in chiave letterale che simbolica. John Esposito, uno dei più noti esperti di studi islamici, spiega in un suo testo come il velo venne inglobato nell’Islam da usanze bizantine e persiane, e conseguentemente incluso nelle norme coraniche.
Andando poi oltre le speculazioni teologiche, c’è anche il discorso sulla parità di trattamento e l’uguaglianza di tutti i partecipanti di fronte all’evento sportivo: se le attuali regole FIFA impongono il divieto di indossare qualunque tipo di indumento o simbolo che riporti a precetti religiosi o slogan politici, per quale motivo bisognerebbe fare un’eccezione per il velo? Ciò porterebbe a una chiara disuguaglianza tra le fedi e a quel punto persone appartenenti ai più disparati credi potrebbero rivendicare il diritto di indossare indumenti e simboli legati alla propria tradizione. I Sikh potrebbero giustamente richiedere di indossare il turbante durante la partita; gli ebrei la kippah e a quel punto la competizione sportiva diventerebbe un bizzarro teatro fatto di ostentazioni decisamente fuori luogo.
Il problema non è tanto legato all’”islamofobia”, quanto ad alcuni paesi che si appropriano di alcune interpretazioni religiose e le impongono ai propri cittadini, negando loro la libertà di decidere su questioni che dovrebbero riguardare prettamente il singolo individuo.
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Il velo non è espressamente richiesto dal Corano. Ma alcuni regimi lo impongono a giovanni ma chi ti la detto hhhhhhhhhhhhhh
certo certi articoli fanno ridere ma veramente gia dal inizio capisci che è una cavo.lata -
Mi scusi può dirmi cosa ha detto di arrogante?? io sono islamica ma non mi ritengo arrogante, comunque signor Alberto Fassi per favore prima di commentare dovrebbe esprimersi meglio perché soufiane è una sola persona e non un gruppo di persone, mentre lei ha detto :<>. Conosce gli altri islamici per giudicarli????
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Signora Ordegon: vorrei dirle che per loro non è assolutamente scomodo il velo, se vuole potrebbe chiedere a qualsiasi donna musulmana che indossa il velo ( NON OBBLIGATA) se è scomoda e poi dopo mi risponde :)
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