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Diritto di critica | November 18, 2024

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Piccoli artigiani, il lato sommerso della crisi - Diritto di critica

Piccoli artigiani, il lato sommerso della crisi

Di loro ci si ricorda soltanto quando balzano agli onori della cronaca per qualche gesto disperato, dovuto ad una crisi che non molla la presa, una pressione fiscale sempre più pesante e una generalizzata situazione di incertezza: sono gli artigiani e le piccole imprese a conduzione familiare, quelle che non fanno notizia perché non interessate né dalle liberalizzazioni né dalle modifiche all’articolo 18, ma che continuano a rappresentare uno dei tasselli più significativi dell’economia italiana, specialmente nel Nord Est. E che spesso si trovano ad affrontare una situazione economica drammatica senza alcun tipo di tutele da parte dello Stato.

«In settori come il nostro – spiega Carlo*, titolare di una piccola impresa a conduzione familiare della bergamasca, specializzata in quadristica ed automazione industriale – la crisi si fa sentire non solo con la mancanza di lavoro, ma anche e soprattutto con una concorrenza che ci costringe ad abbassare i prezzi nonostante i continui aumenti di spesa inevitabili, come il costo della benzina, dei materiali o la pressione fiscale. Tentare di uscire da questa logica e rifiutarsi di abbassare il preventivo si traduce nel non ottenere il lavoro e quindi, brutalmente, non portare soldi a casa». Il rischio di dover scendere a compromessi e svendere il proprio lavoro per incontrare brutali logiche di mercato non è nuovo in nessun ambito, neanche in quello artigianale e tecnico: «ma – continua Carlo – così facendo le aziende più grandi impongono alle imprese più piccole che lavorano per loro una concorrenza sleale, scegliendo il basso costo a discapito della qualità del lavoro tecnico specializzato».

Carlo si è messo in proprio nel 2003 insieme alla moglie Maria: ritrovatosi senza lavoro a quarant’anni dopo una brutta esperienza lavorativa come dipendente, l’unica alternativa all’imprenditorialità sarebbe stato un lavoro come trasfertista, «ma non avevo intenzione di lasciare la mia famiglia e mettermi a girare il mondo per mesi interi», spiega. Nel 2010 ha iniziato a lavorare con Carlo e Maria anche il figlio secondogenito, mentre gli altri due figli ancora studiano: non ci sono altri dipendenti e l’azienda, benché piccola, continua con fatica a reggere i colpi della crisi. Ma la situazione è precaria e non si sa se i mesi prossimi continueranno a portare lavoro.

«Il problema – spiega Maria, che segue la parte contabile dell’attività – è che le piccole imprese come la nostra non possono ragionare in termini di cassa integrazione o sostegno alla mobilità. Non lavorare significa non avere reddito né di che mangiare a fine mese». E se anche il lavoro per ora pare non mancare, è la pressione fiscale che continua ad aggravarsi: «vediamo crescere il nostro reddito annuale lordo – continua Maria – ma il margine di guadagno si riduce di anno in anno: tra IRPEF, IRAP, INPS, INAIL, addizionale regionale, addizionale comunale e via dicendo, fatichiamo a portare a casa mille euro a testa al mese. E questo a fronte di grosse responsabilità sulle spalle e giornate lavorative di più di dieci ore: un dipendente, in condizioni simili, sarebbe sottopagato. Eppure, della nostra categoria ci si ricorda soltanto quando si parla di evasione fiscale».

Il paradosso del piccolo artigianato specializzato si traduce anche nell’impossibilità di chiedere qualunque tipo di agevolazione statale, dalle borse di studio alle riduzioni delle rette universitarie per i figli: «per lo Stato siamo ricchi evasori da tassare, eppure in tasca del nostro lavoro ci resta ben poco. L’artigianato – commenta ancora Maria – è troppo spesso associato al lavoro nero, ma per ogni artigiano che ruba ce ne sono mille che lavorano onestamente in condizioni davvero difficili e senza le tutele di altre categorie né sindacati o ordini professionali alle spalle. Ma di questi non si parla mai».

Che l’ossatura economica del nostro Paese sia costituita in prevalenza da piccole e medie imprese lo conferma anche l’Istat, secondo cui esse rappresentano il 95% delle aziende italiane (su un totale di circa 4,5 milioni): il 65,2% sono imprese senza dipendenti e due terzi sono ditte individuali o a conduzione familiare. Un trend in conformità con l’andamento europeo: dati della Commissione Europea testimoniano infatti che nel Vecchio Continente il 99% delle attività economiche sono portate avanti dalle cosiddette “small and medium-sized enterprises” (SMEs).

*per motivazioni di privacy, i nomi usati sono fittizi

Twitter: @balduzzierica

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