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Diritto di critica | November 2, 2024

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Monti manda nel panico Bersani, l'ultimatum che spariglia le carte al Pd - Diritto di critica

Monti manda nel panico Bersani, l’ultimatum che spariglia le carte al Pd

L’ultimatum di Monti da Seul – “se il Paese non è pronto possiamo lasciare” – è piombato come un proiettile di bombarda sui partiti della maggioranza che sostengono il governo. Ma tra Pd e PdL, ad accusare il colpo è stato soprattutto il Partito democratico, diviso proprio su quelle riforme che Monti vorrebbe far approvare in tempi brevi.

E se ieri l’Unità raccontava con un titolo efficacissimo – “Crisi di nervi” – la situazione interna al Piddì, la staffilata del “Professore” ha raggiunto la Direzione del partito riunita a Largo del Nazareno poco dopo l’approvazione all’unanimità della relazione del Segretario, Pierluigi Bersani, studiata a tavolino “in puro napolitaniano” (la definizione è di Gentiloni) insieme al vicesegretario Enrico Letta e pensata per riportare unità e concordia in un partito che “non può avere cento voci”.

Tra salamelecchi e cortesie reciproche, con D’Alema che si dichiarava “d’accordo con Veltroni” e definiva la giornata di ieri come una situazione da “libro Cuore”, l’effetto dell’ultimatum di Monti è stato quantomai destabilizzante. E Bersani non l’avrebbe presa bene.

Fonti interne al partito, infatti, hanno descritto un Segretario irritato e sorpreso dall’aut aut del premier, colpito al fianco un attimo prima che il pubblico applaudisse la serenità che aveva regnato durante l’assemblea (tanto da far dire a D’Alema: “gli interventi sono stati programmati dalla Bindi ad uso e consumo delle agenzie”). “A cosa serve scaldare i toni in questo momento politico così delicato per noi e per il governo?”, avrebbe sbottato il Bersani. “Alzando la voce non ottiene nulla”.

Di certo le parole di Monti non semplificano il groviglio interno al Pd. Da contenere, infatti, le due anime del partito che in Parlamento potrebbero creare non poche divisioni sulla questione lavoro: Fassina da una parte – sostenuto, a suo dire, dal 60% dell’elettorato democratico – Ichino dall’altra, per cui “la riforma sta andando nella giusta direzione”. Tensioni interne ben lontane dal “libro Cuore” citato da D’Alema e dall’atmosfera di perfetta concordia andata in scena ieri, dove tutti – da Veltroni a Tonini a Fioroni – si sono detti d’accordo con il Segretario.

Bersani, però, si sarebbe fortemente irritato anche per la sponda che Monti ha offerto al PdL, con un Angelino Alfano che ha sottolineato come “o facciamo una buona riforma, o nessuna riforma”. Un messaggio chiaro all’Esecutivo e agli elettori che ha di fatto scaricato la responsabilità dell’impasse sul Partito democratico e costretto ancor più nell’angolo Bersani.

Ma nel Pd la battaglia non è solo sul lavoro e investe lo stesso governo tecnico: una parte del partito, infatti, vorrebbe segnare il passo rispetto a Monti, una posizione che rischia di complicare ancor di più l’iter parlamentare e che – dopo l’ultimatum di Seoul – rischia adesso di diventare esplosiva.

A gettare acqua sul fuoco insieme al Segretario, Enrico Letta e Dario Franceschini: l’invito è al dialogo e alla responsabilità. Ma sotto la cenere le braci ardono.