"Non correte il Gran Premio", il boicottaggio dei rivoluzionari del Bahrein - Diritto di critica
Mentre in Siria si continua a morire, anche nel piccolo Stato del Bahrein prosegue una guerra civile tra la dinastia sunnita al potere e la maggioranza sciita, da sempre discriminata, che chiede da oltre un anno giustizia e un nuovo corso per il Paese.
La situazione del regno arabo torna ora alla ribalta per l’avvicinarsi della gara di Formula Uno prevista nel calendario di quest’anno, gara che il movimento Gioventù della rivoluzione, lo stesso che a febbraio 2011 invadeva le piazze della capitale Manama, chiede a gran voce non venga disputata.
Nonostante la violenza e la repressione esercitate dal governo per porre fine alle proteste, infatti, il circus delle quattro ruote non si ferma e arriverà qui tra meno di un mese, per il Gran Premio di Bahrein 2012. Già nel 2011 l’appuntamento era saltato a causa dell’instabilità politica del Paese, su decisione dello stesso re Al Khalifa. Oggi invece sono gli attivisti a mandare una lettera chiara e netta a Bernie Ecclestone, patron delle corse: «Faremo qualsiasi cosa per garantire il fallimento del Gp del Bahrein – si legge nel comunicato – piuttosto che vederlo macchiato con il sangue e la vergogna. Se il 22 aprile la F1 correrà in un posto dove i bambini vengono uccisi per strada, si sporcherà per sempre con immagini di morte e di violazione dei diritti umani». La Gioventù della rivoluzione, uno dei gruppi più rappresentativi dei tumulti in Bahrein, si appella quindi ad atleti ed addetti ai lavori affinché non partecipino alla gara.
Sebbene poco conosciuta ai media occidentali, la protesta contro il re e il suo potere è tutt’altro che conclusa: oltre centomila persone (un sesto dell’intera popolazione), tra uomini e donne, hanno preso parte ad una manifestazione, nei giorni scorsi, inneggiando senza paura ad un sistema democratico. Più di venti oppositori del regime (“martiri” per gli sciiti) sono stati uccisi negli ultimi sei mesi.
Alcune associazioni per i diritti umani (in primis Human Rights Watch) si sono espresse a favore della cancellazione del Gran Premio, e denunciano le pratiche violente della polizia bahreinita, che usa in maniera indiscriminata gas chimici, torture, proiettili di gomma, sparando a distanza ravvicinata anche su manifestanti pacifici. A guidare le forze dell’ordine arabe ci sono l’inglese John Yates e l’americano John Timoney, l’ex capo della polizia di Miami famoso per i suoi modi non proprio pacati, chiamati il dicembre scorso dal re per riformare le milizie del Bahrein.
Il mondo della Formula Uno, per ora, è convinto ad andare avanti e correre il Gran Premio: «Ci sono sempre persone che protestano – ha dichiarato Ecclestone – Possono farlo senza usare la violenza, piazzandosi ai lati delle strade con i loro striscioni per diffondere il loro messaggio. Nessuno sparerà loro». I patron delle squadre credono che gli organizzatori non si assumerebbero il rischio di ospitare la Formula Uno se ci fossero rischi concreti, ma il problema è molto più complesso, e riguarda la scelta di far finta di niente o meno rispetto a quello che accade in Bahrein. Ideali e diritti umani a parte, comunque, il motore che muove tutto è economico: in gioco c’è un business gigantesco, e il rischio di perdere, tra penali e tasse di iscrizione, ben quaranta milioni di euro.
Entro due settimane verrà presa una decisione definitiva. Mentre su Internet è partita la petizione che raccoglie firme per fermare la gara (su www.avaaz.org), i quotidiani on-line bahreiniti proseguono nel conto alla rovescia e narrano di come le tribune del circuito di Sakhir saranno piene, forse più dell’edizione 2010: «Lo slogan della corsa sarà “UniF1ed – One nation in celebration”, le vendite dei biglietti sono aumentate del 19 per cento e il patron della pista, Shalik Salman, è molto eccitato». E poi segue una ricca descrizione degli eventi da favola che faranno da contorno al Gran Premio.
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