"Io non voglio emigrare", la storia di un disoccupato con la laurea - Diritto di critica
Emigrare. Sempre più spesso è la soluzione scelta dai giovani laureati che non trovano lavoro. Ma Luca, laureato in lettere e in cerca già da tempo di un’occupazione, di emigrare non ne vuole sapere: “chiamatemi pigro, ma io non me ne voglio andare. Odio l’idea che lo Stato mi imponga di partire perché non è in grado di creare posti di lavoro”.
A volte emigrare è più facile da dire che da fare. I laureati in lettere, giornalismo e tutti coloro che si distinguono per la loro capacità di gestire la lingua italiana, all’estero possono fare ben poco. Lo stesso vale per gli avvocati. I laureati in giurisprudenza esperti di leggi italiane, nei paesi stranieri posso interessare relativamente poco. I titoli di studio italiani a volte non sono neanche riconosciuti. Ma soprattutto, lasciare il proprio paese, significa lasciare parenti, amici, fidanzate e fidanzati, significa allontanarsi da genitori che magari hanno bisogno di assistenza. Lasciare tutto quel poco che è stato costruito con tanta fatica negli ultimi anni.
Ma Luca non ci sta: “Io non voglio emigrare. Non voglio andarmene a causa dello Stato. Ho investito per anni nella formazione universitaria perché mi era stato promesso un futuro sicuro. I miei genitori volevano che continuassi gli studi perché era fondamentale per ottenere un buon lavoro. Invece mi ritrovo a dovermi destreggiare solo tra proposte lavorative che vanno dal venditore a porta a porta ed il procacciatore di contratti”, spiega. “È davvero scoraggiante vedere come i carcerati oggi in Italia abbiano molte più possibilità dei ragazzi che hanno sempre creduto nel futuro. I carcerati possono accedere a corsi di formazione professionale, hanno la possibilità di partecipare a concorsi artistici grazie alle sovvenzioni statali. Alcuni riescono persino a trovare un buon lavoro, con contratto regolare, un ottimo stipendio quando sul CV balza agli occhi il numero di anni di galera scontati. Bisogna diventare criminali per avere qualche attenzione da parte dello Stato?”.
Luca è consapevole che, per il momento, non c’è molta speranza per il futuro, soprattutto con una laurea in lettere. Sa che rimanere in Italia è una sfida ed una probabile condanna della sua carriera lavorativa. È tanto coraggioso decidere di emigrare quanto decidere di restare.
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Mah, io la vedo diversamente. Si emigra anche per curiosita’. Chiaramente non si e’ obbligati a farlo. Mi stupisce pero’ vedere l’incattivimento verso chi ha deciso di andar via o verso categorie sociali che hanno necessita’ di riqualificazione e reinserimento nella societa’.
Anche la fisica ci insegna che un sistema statico muore. Lo spostarsi all’estero, il ritornare o l’attrarre persone da altri contesti (aihme’, qua siamo deboli) rende il sistema dinamico, vivo e ricco di risorse. Non vedo un problema in chi vuole emigrare ma lo vedo in chi critica chi emigra pur senza attivarsi nella strada che si e’ deciso di percorrere. Coloro che emigrano e che torneranno col loro bagaglio culturale e di esperienza stanno facendo, se pur inconsapevolmente, un investimento a lungo periodo per l’Italia. Inoltre si prenda atto del fatto che emigrato e’ diverso da vado-all’estero-e-domani-trovo-lavoro. Da emigrati si fatica: si fatica nell’inserimento sociale e culturale, si fatica nell’apprendimento della lingua. L’emigrato e’ sempre il primo escluso quando il lavoro diminuisce. Non sono tutte rose e fiori anche se devo ammettere che una volta sorvolati certi steps, la strada estera e’ sicuramente molto piu’ viabile che quella italiana.
Se si decide di rimanere, bene! Le maniche vanno rimboccate. Purtroppo non si puo’ pretendere di fare la ballerina o il giornalista. Se si vuole una cosa, si deve combattere per ottenerla, in Italia cosi’ come all’estero.
La laurea in lettere, cosi’ come quella in leggi, non lega nessuno al territorio. Sicuramente limita molto piu’ di altre lauree, su questo non si discute. Molti laureati in lettere lavorano nel design, gestione territorio, organizzazione eventi, turismo etc etc, lavori che non mi sembrano limitati al solo territorio italiano. Molti laureati in giurisprudenza lavorano come consulenti sulle leggi italiane o sulla regolamentazione europea.
E per quanto riguarda i criminali… basta coi luoghi comuni! Avete visto la situazione delle carceri italiane? Siete davvero sicuri che chiunque riesca a studiare e addirittura ad avere un buon lavoro?-
Concordo con gran parte di quello che hai scritto…considerando che io sono emigrato e a malincuore ora vivo in UK. L’unica frase che non concordo è ” Se si vuole una cosa, si deve combattere per ottenerla, in Italia cosi’ come all’estero”. In Italia se non hai conoscenze o claci in culo combatti pure quanto vuoi che non serve a na sega…all’estero se sei competente e hai un buon CV hai più possibilità che in Italia.
Saluti
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Luca, perche’ non vai a fare il criminale ?
dopo avrai un bel curriculum, pero’ guarda che a volte ti tocca andare a fare rapine o pizzi anche distante da casa e mamma, sai ? -
io non vedo l’ora di emigrare!
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“Ho investito per anni nella formazione universitaria perché mi era stato promesso un futuro sicuro”
Questo è un errore storico. Si studia per amore dello studio. La laurea è anche uno strumento/requisito per accedere ad alcune professioni. Ma laurea = lavoro è chiaramente un equivoco.
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Ma quando Luca scelse la facoltà di lettere aveva un progetto futuro oppure si aspettava che con un bel pezzo di carta tutto arrivasse in automatico?
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si studia per amore per lo studio qualcuno ha scritto.Bene allora specificare che in Italia lo studio è un lusso e chi si può permettere lo studio per amore deve essere ricco.
Troppo comodo scaricare la responsabilità sui ragazzi che in buona fede hanno creduto nello studio, Luca ha ragione, la colpa è dello stato che è incapace di creare opportunità per i laureati e non solo.
Mi pare che gli “amministratori” dello stato siamo profumatamente retribuiti per garantire i diritti costituzionali e tra questi rientra il diritto ad un lavoro e paga dignitosa. -
Io
sono emigrato 46 anni fà e sò perfettamente di cosa parlo. Sono emigrato per
necessità, non per curiosità. Per mia fortuna ho scelto un paese magnifico.
All’epoca poco interessante, ma ne conoscevo la lingua, per cui avevo già un
vantaggio iniziale. Non avevo una laurea perché a quei tempi, (anni 50-60)
nella mia famiglia mancava terribilmente la grana. Però un diploma (1965) lo avevo
conseguito con tanti sacrifici, facendomi 20 km al giorno in zona collinare,
con una bicicletta ad un solo rapporto. All’estero quel diploma non lo hanno
neanche guardato, figuriamoci poi se ne hanno tenuto conto durante tutta la mia
vita professionale. Ho dovuto dimostrare, dimostrare e dimostrare per poter
fare qualche piccolo passo in avanti partendo dal basso. Diritti ? Quali ? Agli stranieri con
tanto di permesso di soggiorno (richiesto della ditta prima della partenza
dall’Italia), non era consentito neanche l’assicurazione disoccupazione, quindi
se ti facevi licenziare, rifacevi la valigia e te ne tornavi a casa. Dovevi
accettare e startene zitto, perché nei primi anni non ti era neanche consentito
cambiare datore di lavoro. Altro che scioperare come s’é visto ultimamente in
Italia, pur con tanto rispetto per quei poveracci !! La laurea l’ho
conseguita sul terreno, grazie alla lunga esperienza trasmessomi da un capo che
conosceva il fatto suo. Ma é risaputo che il successo nutre la gelosia, per cui
quel capo é stato costretto ad andarsene via. (Causa Mobbing) Allora i buffoni
rimasti si sono accorti che potevo rapportare qualcosa anch’io. Mi hanno
utilizzato senza alcuna ricompensa ed io come un fesso ci sono cascato sperando
che non mi avrebbero fregato. Con il mio ultimo lavoro, ho rapportato grosso a
quella multinazionale di merda per laquale avevo consacrato 38 anni della mia
vita. Non me l’aspettavo, ma quando non hanno avuto più bisogno di me, mi hanno
praticamente cacciato, mettendomi in pensione anticipata. A mie spese
naturalmente. La legge glielo consentiva. Evidentemente, il mio posto faceva
gola a qualcun’altro, magari ad un’amico o parente. Me ne sono andato via
portandomi dietro l’esperienza professionale di una vita intera. Possibile ?
Si, questo é possibile, quando la politica degli amici e delle natiche prende
il sopravvento sull’economia. Anch’io ho subito Mobbing ed invece di far
rispettare la legge, coloro che erano designati per assolvere questo compito, hanno preferito sbarazzarsi di me e tenersi gli amici,
anche se incompetenti. Quindi quando parlate di nepotismo (pratica
schifosissima) ditevi che tutto il mondo é paese. Posso dire soltanto che ho
lavorato in ricerca e sviluppo e che ho fatto assistenza tecnica in fabbrica salvando
parecchi prodotti strategici per l’impresa. Ora, per i buffoni che restano, non é
difficile lavarsene le mani: Basta dire che non ne abbiamo i mezzi !! Ma non é
vero !! E chi può contraddirli ? I deceduti o quelli ancora in vita che sono
stati cacciati via ? E la giustizia in tutto questo ? Ebbene, non esiste né
quella interna né quella esterna perché la ditta, in questo paese, é
intoccabile !!!!!! L’attuale presidente del consiglio d’amministrazione fà
parte di una certa lista chiamata “Bilderberg” di cui fanno parte
quasi tutti gli assassini dell’economia mondiale, compreso un certo Mario Monti
ed un certo Giulio tremonti. (Tratto da Internet)
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