La vita difficile dei media in Sudamerica. L'ultima condanna in Ecuador - Diritto di critica
La denuncia arriva da Reporteros sin Fronteras, la sezione spagnola dell’organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa. In Sudamerica fare il giornalista è sempre più difficile e rischioso, specialmente per chi decide di parlare chiaro e schierarsi anche contro il potere.
È emblematico in Ecuador l’epilogo della vicenda di Emilio Palacio, reporter del quotidiano “El Universo”, condannato a tre anni di carcere per avere scritto un editoriale, nel quale accusava il presidente Rafael Correa di aver fatto sparare sulla folla durante un tentativo di golpe, avvenuto nel settembre 2010. Dopo mesi di scontri e udienze la Corte Nazionale di Giustizia ha ordinato la prigione per Palacio e i tre direttori del giornale, mentre il gruppo editoriale di “El Universo” dovrà pagare un risarcimento di 40 milioni di dollari.
Nel famoso editoriale, scritto un anno fa e ripreso per solidarietà nei giorni scorsi dai principali quotidiani latinoamericani, Palacio sottolineava con durezza la malafede del “Dittatore” (così si è riferito a Correa), e la sua abilità nel corrompere e far insabbiare i fatti: «..(In questi anni) ha stabilito un indulto per i narcotrafficanti, ha lasciato impuniti assassini ed invasori di terre…e ora ordina di sparare senza preavviso su un ospedale pieni di civili e gente innocente».
Immediata la denuncia del presidente dell’Ecuador; per la redazione del giornale incriminato comincia l’inferno, così come per Palacio, costretto nell’agosto 2011 a lasciare il Paese con la famiglia e a rifugiarsi a Miami dopo aver ricevuto minacce. Il giornalista ha chiesto asilo agli Stati Uniti, in quanto si ritiene «punito per avere espresso opinioni legittime ed interpretazioni soggettive di fatti. Temo per me e i miei cari, invece di condannare chi commette delitti, si persegue chi li denuncia». Ma il Servizio Immigrazione americano non si è ancora espresso in merito.
Nonostante le manifestazioni in favore del reporter, in Ecuador a rallegrarsi è Correa, da sempre infuriato con i media del suo Paese (ha definito nel tempo i giornalisti «sicari d’inchiostro», «avvoltoi», «cani rabbiosi», «nullità») e ora libero di dichiarare che «finalmente i cittadini possono reagire agli abusi della stampa, ha vinto il giornalismo responsabile». Il capo del piccolo Stato ha proposto inoltre un referendum per giudicare il suo progetto nei confronti della stampa nazionale: restrizioni alle proprietà dei media e una commissione di controllo sulle notizie che verranno considerate “eccessive”. Di recente altri due giornalisti ecuadoriani sono stati condannati a due anni di prigione per aver contestato il governo di Correa.
Il clima che si vive in Ecuador è comune in altri Stati del Sudamerica, la maggior parte dei quali veleggiano tra gli ultimi posti al mondo per libertà di stampa. Sebbene ci siano buone realtà editoriali, dotate di siti Internet ben fatti, i governi influenzano pesantemente i media in Nicaragua, Bolivia, Venezuela, e ancora in Colombia (143° posizione, su 170 Paesi) e Messico (149°). Al bavaglio istituzionale dobbiamo aggiungere poi le aggressioni e gli omicidi di giornalisti, spesso non tutelati abbastanza, che sono sempre più frequenti e rimangono molte volte impuniti. In terra messicana sono i cartelli della droga a minacciare o a zittire i giornali, tanto che alcuni reporter hanno richiesto invano gilet antiproiettile e assicurazioni sulla vita. Secondo la Società Latinoamericana della Stampa (SIP), dei 40 reporter uccisi nel 2011, ben 22 lavoravano in nazioni sudamericane.
Osteggiati dai governi autoritari, i giornalisti pare siano addirittura malvisti anche da una parte dei cittadini, che interpretano i silenzi a cui sono costretti come complicità col potere. Una situazione intricata, che Reporteros sin Fronteras segnala in continuo peggioramento.
Internet, i governi, le organizzazioni criminali, la burocrazia dei gruppi editoriali: da queste parti, ma non solo, la stampa e la sua libertà sono letteralmente accerchiate.
-
Nel caso dell’Ecuador il processo è giusto! non si può pretendere di creare calunnie e diffamazione nel nome della libertà.. così non’è! Se suddetti giornalisti anziché convocare le intuizioni internazionali e diritti umani (la cui sede è a Washington quando gli USA non sono firmatari cosa alquanto sospetta.. guarda a caso si parla solo di stati cosiddetti “anti”USA) avessero presentato delle prove il processo era a favore dei giornalisti.. siccome prove non ci sono.. queste sono solo menzogne ed è giusto che siano puniti x questo.
-
Se la gente vuole il cambiamento prima o poi questo arriverà..in Italia come in Equador. Il tempo guarisce tutti i mali
Comments