Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | December 25, 2024

Scroll to top

Top

Retrospettiva sulla Berlinale - Diritto di critica

Retrospettiva sulla Berlinale

“Anche un detenuto su cui sovrasta una terribile pena è e resta un uomo”. Paolo Taviani, sul palco della Berlinale, interrompe così l’intenso e fragoroso applauso che accompagna la vittoria di Cesare deve morire, l’ultimo film girato come sempre col fratello Vittorio. I due fratelli toscani, coppia inossidabile del cinema italiano, hanno trionfato al Festival Cinema di Berlino appena conclusosi (9 – 19 febbraio 2012) con un’opera intrisa di grande passione civile. Sorpresi e commossi, hanno ritirato l’Orso d’Oro di questa 62esima edizione, regalando all’Italia un riconoscimento che mancava da 21 anni. L’ultimo a riceverlo, fu infatti Marco Ferreri nel 1991, con La casa del sorriso; un bel momento, per il nostro cinema, anche perchè erano quattro anni che nessun italiano veniva invitato al Concorso.

Cesare deve morire è un film forte, impegnato, appassionato. A metà tra il documentario e la fiction, è stato girato all’interno del carcere romano di Rebibbia, precisamente nella sezione di Alta Sicurezza: gli interpreti scelti, sono tutti detenuti del penitenziario, alcuni dei quali segnati dalla “fine pena mai”. La pellicola mostra l’allestimento dello spettacolo shakespeariano del Giulio Cesare messo in scena dai detenuti – attori, un miscuglio di vita e poesia che lascia poco spazio alla retorica. Il Bardo entra in un luogo di grande sofferenza collettiva, abbraccia tutte le vite che vi sono racchiuse, le sublima con la forza delle sue parole e le riscatta, in qualche modo, agli occhi del mondo. Un mondo lasciato fuori dalle sbarre, e che rimane incapace di guardare dentro. Vite chiuse, buttate lontano, come se non riguardassero più la società che scorre poco distante di lì.

E’ a loro, ai detenuti che hanno girato il film e sono il vero motore della storia, che i fratelli Taviani dedicano la vittoria alla Berlinale: “Voglio farvi i nomi di alcuni di loro, spero che ci possano sentire: Cosimo, Salvatore, Giovanni, Antonio, Rosario, Vittorio, Vincenzo, Francesco, Fabione… A loro il film”. Così Vittorio Taviani, incalzato dal fratello Paolo, che ha sottolineato: Grazie alle parole semplici e sublimi di Shakespeare, questi carcerati sono tornati per alcuni giorni alla vita. Sono stati pochi giorni ma vissuti con grande passione”.

E’ un tema difficile, quello tòccato da Cesare deve morire, che getta luce su un tema di grande attualità come quello del nostro sistema carcerario; ma il film, a ben vedere, disvela anche lo straordinario impegno svolto quotidianamente dagli operatori che tentano con ogni mezzo la ‘riabilitazione’ della vita carceraria. Con l’arte, attraverso il teatro, la recitazione. Tra battute shakespeariane e dialetti – romano e napoletano su tutti – il film è stato votato all’unanimità per il premio maggiore, dalla giuria del Festival guidata da Mike Leigh. Pare che il regista inglese sia rimasto abbagliato da questo piccolo capolavoro, prodotto da Kaos Cinematografica in collaborazione con Rai Cinema, con un profilo decisamente low budget, poco più di un milione di euro. Piccolo nella realizzazione, ma grande per contenuti, impegno, intensità, dedizione: una storia di tòccante umanità vergata dalle mani sapienti di due autori ottantenni ma giovanissimi per temperamente e vitalità artistica. Non è compito facile rimettere mano ad un testo messo in scena milioni e milioni di volte in tutto il globo, e infondergli luce e forza nuove, attualizzandolo. Eppure i Taviani, sperimentando, hanno saputo cogliere la nuova linfa che scorreva nel testo del Giulio Cesare recitato dai detenuti. Non attori qualsiasi, ma interpreti veri, a cui non è stato chiesto di togliere dalle battute il proprio dialetto, il proprio timbro vocale.

E ancora Vittorio ha detto: “Noi siamo qua tra le luci, la felicità di essere insieme col cinema, l’allegria dei premi, loro sono nella solitdine delle loro celle. Pensavamo che non saremmo andati più in concorso, dopo tanti premi vinti, ma questo film è cosi particolare che era giusto arrivasse al maggior numero possibile di spettatori”.

Cesare deve morire è piaciuto alla stampa italiana ma anche a quella internazionale: il giorno della proiezione al Festival i giudizi erano stati molto positivi. Ma che arrivasse l’Orso d’Oro è sembrato ovvio solo dopo che nel corso della premiazione, agli altri favoriti della vigilia – Barbara, Rebelle, Tabu – erano andati gli argenti.

La situazione si è ribaltata all’indomani della vittoria però, perchè invece i media tedeschi hanno avuto commenti poco lusinghieri sul film dei Taviani: forse delusi per l’Orso d’Oro mancato – fino all’ultimo infatti il superfavorito era il nazionale Barbara di Petzold che si è dovuto accontentare dell’Orso d’argento per la regia – , i giornali hanno inasprito molto i toni a margine del Festival.

“Il festival giusto, i vincitori sbagliati”, ha titolato Der Spiegel . Tagespiegel ha ricorda to che Paolo e Vittorio Taviani, ottantenni, sono stati premiato da un presidente della giuria, Mike Leigh, che ha 69 anni e si chiede se non sia stata “la festa dei vecchi autori del cinema europeo”. Die Welt si è allineato a questa presa di posizione.

Il film uscirà in Italia il prossimo 2 marzo, distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti. Ma si appresta a fare il giro del mondo, probabilmente la pellicola arriverà anche negli Usa, secondo Screen International. Il film è già stato venduto in Francia, Benelux, Brasile, Australia, Spagna e Israele da Rai Trade, mentre le trattative con GB e Scandinavia sono a buon punto.

Argomenti