A vent'anni da Mani Pulite la corruzione dilaga ancora - Diritto di critica
Vent’anni fa la politica non fu più la stessa. Il 17 febbraio 1992, infatti, emerse il sistema di Tangentopoli, dove la corruzione e il diffuso uso di mazzette – dagli imprenditori verso i politici in cambio di favori – era praticamente diventata una consuetudine, la regola alla quale la maggioranza si atteneva.
Da Mani Pulite alle tasche sporche. Questo sistema di corruzione endemica, (detta così proprio perché non costituiva un’eccezione) non sembra aver affatto abbandonato il nostro Paese, ed almeno in questo settore, il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica non ha sortito gli effetti sperati. La corruzione è un reato che va a ledere soprattutto i principi di buon andamento ed imparzialità dell’attività amministrativa dello Stato, ed è quindi uno dei fenomeni che va a gravare sulle tasche dei cittadini e delle imprese compromettendo una leale ed aperta concorrenza. Infatti, i danni cagionati all’erario italiano sono quantificabili in circa 60 miliardi di euro l’anno, cifra che equivale a poco più di due manovre dal peso di “Salva-Italia”.
La corruzione, peggio della mafia. Per contrastare questi reati occorrerebbe varare maggiori misure di prevenzione e repressione. Per fare prevenzione si dovrebbe generare un circolo virtuoso che permetta di modificare l’atteggiamento che gli italiani stessi hanno nei confronti della corruzione. Sotto il profilo repressivo, invece, servirebbe dunque, una maggiore trasparenza nei metodi e nei procedimenti amministrativi in modo da rendere subito evidenti i funzionari pubblici corrotti e i corruttori. Ma allo stesso tempo è evidente che andrebbero inasprite le sanzioni – anche penali –, equiparandole in un certo senso ai reati di stampo mafioso, in modo tale da scoraggiarne l’esercizio: ai reati contro la Pubblica Amministrazione come la frode nelle pubbliche forniture, o la corruzione per un atto di ufficio andrebbe aumentata la pena massima fino a 10 anni, un’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il divieto di partecipare a bandi/concorsi pubblici.
Un problema culturale. Qualche giorno fa, durante una conferenza stampa congiunta tra il Capo di Stato della Germania, Christian Wullf, e Napolitano, ai due è stato domandato con quali misure intendevano combattere la corruzione: mentre in Germania riescono ad arginare brillantemente questo fenomeno (al di là del fatto che lo stesso Presidente è attualmente indagato), Napolitano ha notato come questa tipologia di reato sia “ancora largamente diffusa”, ed ha auspicato un maggiore intervento del governo Monti anche su questo campo.
Quando il parlamento temporeggia. L’Italia non ha ratificato la Convezione Penale sulla Corruzione del Consiglio d’Europa che risale al 1999: un primo passo concreto per ridurre all’osso questo comportamento criminoso potrebbe essere dato proprio da questo adeguamento legislativo. Come un altro obiettivo concreto da raggiungere al più presto sarà quello di rendere finalmente in chiaro sulla rete la situazione patrimoniale di tutti i ministri e sottosegretari: il 15 febbraio sono scaduti i termini previsti dalla legge (90 giorni dall’insediamento), e sono stati pochissimi coloro che si sono attenuti – tra i quali spicca per celerità il ministro Profumo –, mentre la maggior parte degli esponenti di governo ha usufruito di un ulteriore proroga di qualche giorno. La prossima settimana, almeno questo tassello dovrebbe essere raggiunto, con la speranza che sia un ulteriore segnale verso una funzione pubblica più trasparente.