"Convertendo" di BPM, così le famiglie hanno perso il 90% dei risparmi investiti - Diritto di critica
La stangata. L’operazione Convertendo (titoli di prestito da convertire, dopo 2 anni, in azioni Bpm) inizia nel 2009. La Banca popolare ha bisogno di consolidare il proprio capitale, nel pieno della bufera di Wall Street. Prendere denaro da Tremonti costa troppo, perciò si opta per il grande pubblico. L’idea – secondo quanto sostiene la Procura – è stata invece quella di proporre a famiglie, pensionati, gente comune titoli assolutamente rischiosi, come se fossero sicuri. E in molti ci sono caduti, in 15mila. E chi non ci cadeva subito, vedeva il suo profilo passare da “prudente” a “disponibile al rischio”, per poter essere idoneo all’acquisto. La promessa di rendimento era allettante: un tasso del 6,75%, decisamente sopra al livello di mercato.
Nel prospetto informativo, in realtà, secondo quanto spiegato ieri da Radio24, era scritto che nel 68,5% dei casi il rendimento di questi titoli con obbligo di conversione in azioni sarebbe stato negativo e i risparmiatori avrebbero potuto perdere anche il 41% dell’investimento. Ma la correttezza inizia anche dallo sportello e dalle informazioni che vengono date al cliente.
Convertendo da 14.800 a 1.000 euro. Nei giorni scorsi le Fiamme Gialle di Milano hanno ascoltato oltre cento obbligazionisti truffati dalla Bpm. Si calcolano perdite medie del 90% del patrimonio investito. Uno di loro, che si firma abocca55 nei commenti in un forum, racconta: “Io sono un raggirato, ed erano i risparmi della mia liquidazione. 14.800 euro investiti in false obbligazioni convertibili, mi hanno rimborsato anticipatamente poco più di 1.000 euro. Ma non ci dovevano essere i controlli della Consob per autorizzare l’emissione? E la Banca d’Italia?”.
Domanda legittima. L’Autorità di Vigilanza ha monitorato per due anni l’operazione della Bpm prima di intervenire, il 6 maggio scorso, con una serie di sanzioni. In questo lasso di tempo, solo qualche richiesta di adeguamento, peraltro disattesa: meno di un richiamo formale. Ora Fiorenzo Dalu, direttore generale della Bpm, e il condirettore, Enzo Chiesa, dovranno pagare 175mila euro a testa, il responsabile dei servizi finanziari, Ivano Venturini, altri 27.600. L’accusa, abbastanza scontata, è per tutti di non essersi comportati “con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti”.
Il pm di Milano Roberto Pellicano ha iscritto nel registro degli indagati l’ex direttore Massimo Ponzellini, già sotto inchiesta per finanziamenti a società nel settore del gioco, e gli altri tre manager di Bpm. Mentre le associazioni dei consumatori annunciano una class action contro la banca.