Il Manifesto chiude, il governo taglia i contributi all’editoria - Diritto di critica
Dopo l’annuncio, si fa ancora fatica a metabolizzare la chiusura, a breve giro di posta, di uno dei giornali che ha fatto la storia dell’Italia. Procedura che è tutt’ora in atto, dopo la certificazione del bilancio 2011 in passivo e la conseguente relazione della lega delle cooperative al ministero dello Sviluppo Economico, ma che lascia prefigurare tinte fosche per il quotidiano diretto da Norma Rangeri.
“La messa in liquidazione coatta – ha precisato Benedetto Vecchi, membro del comitato di redazione, al Corriere della Sera –, è una procedura obbligata, ma non staremo a guardare. Nonostante la ristrutturazione operata e i tagli al personale, non riusciamo ad andare avanti senza una parte costitutiva del nostro bilancio, i fondi per l’editoria”.
L’ancora di salvezza, ora, per il Manifesto potrebbe essere rappresentata da ulteriori tagli, dal contenimento dei costi e dalla modifica del prodotto editoriale, che consentirebbe maggiori risparmi. L’intento è quello di dar vita a un pareggio di bilancio già dal 2012.
A dare una mano alla testata potrebbero essere anche gli stessi lettori, anche con gesti simbolici. E’ partita la campagna ‘zitti no’, che consiste nella richiesta di acquistare due copie del quotidiano in modo da raddoppiare le vendite. A breve anche l’iniziativa ‘1000 per 1000’, rivolta ai mille donatori grazie ai quali cercare di raccogliere 1 milione di euro. “Dobbiamo collaborare con il commissario – ha spiegato il presidente del Cda e storico direttore Valentino Parlato –, per cercare di incrementare le vendite prima dello scioglimento della cooperativa”.
Il Manifesto, che solo quindici anni fa valeva 29 miliardi delle vecchie lire, nacque come rivista politica mensile, diretta da Lucio Magri e da Rossana Rossanda. Era il 23 giugno del 1969 e la tiratura raggiungeva le 75mila copie. Intellettuali e cronisti del calibro di Luigi Pintor, Aldo Natoli, lo stesso Valentino Parlato, Luciana Castellina e Ninetta Zandegiacomi hanno scritto pagine importanti del giornalismo italiano. E’ stata la connotazione politica, fortemente schierata a sinistra, a caratterizzare la linea editoriale, sollevando battaglie all’interno dello stesso Partito Comunista.
La rivista, in occasione dell’invasione sovietica in Cecoslovacchia nel 1968, si espresse contro la violazione del patto di Varsavia. Ciò provocò la rottura con la linea maggioritaria del partito. Il comitato centrale del PCI, infatti, deliberò la radiazione di Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Aldo Natoli. Successivamente, fu adottato un provvedimento amministrativo per Luciano Magri, non furono rinnovate le iscrizioni al partito per Massimo Caprara, Valentino Parlato e Luciana Castellina.
Negli anni seguenti, Il Manifesto si costituì come formazione politica con una piccola rappresentanza parlamentare, con alterne fortune.
Già nel 2006 e nel 2008 il quotidiano attraversò delle crisi economiche. Nel 2006, solo attraverso la sottoscrizione di offerte da parte dei lettori (pagamento di 5 euro del giornale nell’edizione del giovedì), si riuscì a sventare la chiusura raccogliendo oltre 1milone e 700mila euro.
Le istituzioni si stanno muovendo per scongiurare la chiusura dello storico quotidiano. Franco Siddi, segretario generale della Fnsi ha commentato così la decisione dello stato di ridurre del 50% i contributi pubblici all’editoria: “Un provvedimento che rischia di cancellare i giornali di idee, un asse prezioso per il pluralismo dell’informazione, un bene pubblico. Una realtà formata da cooperative vere e da giornalisti veri che fanno informazione con coerenza e serietà. Il manifesto – ha aggiunto Siddi –, da oltre 40 anni alimenta il dibattito ed è fonte del pensiero critico della sinistra italiana, costretto alla chiusura per l’improvviso disinteressamento dello stato”.
-
le sovvenzioni ci vogliono per un certo tipo di libertà senza esagerare però
sennò ci sarebbero solo i giornali di Berlusconi………..
Comments