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Diritto di critica | November 16, 2024

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Elezioni in Senegal: sarà la “primavera sub-sahariana”? - Diritto di critica

Elezioni in Senegal: sarà la “primavera sub-sahariana”?

Tensioni e scontri in Senegal, in vista delle elezioni, il prossimo 26 febbraio. Il paese sembra essere sull’orlo della guerra civile, dopo il via libera alla candidatura del presidente uscente, Abdoulaye Wade, per un terzo mandato consecutivo e l’esclusione di Youssou N’Dour, alle elezioni presidenziali.

La ricandidatura dell’attuale presidente, 85 anni di cui 12 al potere, è stata confermata dal Consiglio Costituzionale, secondo cui il limite della nuova Costituzione (non più di due mandati) non riguarda Wade, già eletto quando la legge entrò in vigore, nel 2001. Decisione che ha mandato su tutte le furie l’opposizione senegalese: protagonisti del fronte anti-Wade, Youssou N’Dour, escluso dalle elezioni con la motivazione di non aver saputo presentare un numero sufficiente di firme valide (diecimila) e i leader del “Movimento del 23 giugno” (M23), che hanno definito la candidatura di Wade un vero e proprio “colpo di stato costituzionale”.

Le tensioni politiche, negli ultimi giorni, sono esplose in varie zone del paese, con scontri e tafferugli che hanno provocato l’uccisione di un poliziotto e di alcuni manifestanti nella capitale, Dakar, e a Podor (nel nord del paese). Secondo alcuni media locali, l’intenzione era quella di marciare sul palazzo presidenziale. Un’escalation di violenza, di fronte alla quale sono arrivate le reazioni della comunità internazionale: la portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, ha dichiarato che gli Usa, pur rispettando la legalità della ricandidatura di Wade, sono convinti che “la dignità di un capo di Stato consista nel lasciare il posto alla nuova generazione”. Più cauta la posizione di Parigi, che, da ex potenza coloniale, si è rammaricata del fatto che “tutte le sensibilità politiche non possano essere rappresentate”. Preoccupazioni internazionali sempre più forti verso un paese, che non ha mai conosciuto un colpo di stato, conquistando, negli ultimi decenni, un posto privilegiato tra i paesi africani, dove i valori democratici sono fortemente radicati.

Un paese che, oggi, deve affrontare una frustrazione diffusa contro una politica caratterizzata da favoritismi verso una ristretta élite e dal peggioramento delle condizioni sociali della gran parte della popolazione: una delusione ancora maggiore dopo che l’elezione dello stesso Wade nel 2000 aveva posto fine al dominio del partito socialista, aprendo la strada a quell’alternanza al potere, tipica dei sistemi democratici consolidati.

Ecco allora che il pensiero corre, inevitabilmente, alle ultime “rivoluzioni” del Nord Africa, con la speranza di una “primavera senegalese”: anche in Senegal la lotta è portata avanti soprattutto dai giovani, che, a differenza dei loro coetanei tunisini o egiziani, non chiedono riforme per una maggiore democratizzazione, bensì il mantenimento dell’ “acquis democratico” e della legalità costituzionale. Sono proprio loro i simboli della resistenza democratica, i giovani rappers locali, ispirati dalle rivolte nei paesi arabi, che, ancora una volta, si ritrovano in piazza (questa volta, piazza dell’Obelisco, a Dakar) per denunciare la decadenza sociale, morale ed etica del loro paese. E non è un caso che il candidato escluso, Youssou N’ Dour, abbia a che fare proprio con queste nuove dinamiche socio – culturali, in un paese che costituisce un’eccezione nel panorama africano, per la sua straordinaria effervescenza politico – sociale. Così, l’attaccamento al potere di un presidente ultraottantenne deve fare i conti con il movimento “Y’en a marre!” (“Siamo stufi!”), poi rinominato M23, dopo la manifestazione del 23 giugno, che lo ha costretto a rinunciare al progetto di riforma costituzionale, che avrebbe favorito la successione alla guida del paese di suo figlio Karim, modificando la percentuale dei voti (25%), necessaria per essere eletto presidente al primo turno. Un movimento, in grado di mobilitare grandi masse di senegalesi, all’interno del quale sono confluiti partiti, sindacati e organizzazioni non governative.

La paura è che ora il Senegal possa scivolare nel caos di una guerra civile. Ma non solo: molti temono anche il rischio di conflitti religiosi e dell’integralismo islamico, in un paese, in cui i cristiani – pur costituendo la minoranza della popolazione (6%) – hanno sempre partecipato al dialogo interreligioso, conservando un indiscusso riconoscimento pubblico. Un rischio, d’altronde, già apertamente denunciato nel 2003 dall’intellettuale cattolico Jérôme N’Dour: “E’evidente che oggi si assiste a un ribollire di slanci islamisti in Senegal – ha sottolineato -. Ma questo fondamentalismo è spesso ispirato dall’esterno, in quanto nel paese le confraternite vi hanno sempre posto un freno”. Tuttavia, “le ambizioni politiche di taluni religiosi – continua –  rischiano di invertire questa tendenza. Alcuni di loro hanno studiato in Pakistan, Egitto e Arabia Saudita, paesi che finanziano molte associazioni musulmane che stanno penetrando anche nelle regioni rurali, sotto la copertura di progetti di sviluppo”.