"Acab", l'odio e la violenza senza vincitori né vinti - Diritto di critica
Divisa, casco, manganelli, dettaglio sulle mani che chiudono le giacche e sistemano pistole e lacrimogeni. Il rito della vestizione, sulle note incalzanti di “Seven Nation Army” dei White Stripes. Già dai primi minuti di “Acab”, acronimo di “All cops are bastards”, entriamo nelle vite del VII nucleo del corpo mobile della Polizia di Roma, i “celerini”, e in particolare in quelle frustrate e problematiche di Mazinga, Cobra, Negro. Nomi in codice, fratellanza assoluta, pronti alla battaglia.
Il regista Stefano Sollima, già autore della serie tv culto “Romanzo criminale”, porta sul grande schermo il tema delicato e controverso della guerriglia urbana, dello scontro tra polizia e mondo civile, e della rabbia contro le istituzioni che accomuna qui forze dell’ordine e cittadini. Un tema attualissimo, mostrato evitando però di fabbricare stereotipi o generalizzazioni.
È questa l’abilità che traspare dal film: il rendere protagonista non un gruppo ristretto di celerini (che comunque brillano nelle loro interpretazioni crude e splendidamente realistiche), ma la violenza nel suo significato più completo.
Violenza che pervade tutto e tutti. Dal veterano Cobra, sorta di guerriero contemporaneo che vive in una casa piena di pugnali e simbologie di estrema destra, ma la cui esaltazione si scontra con la solitudine e la desolazione dei mondi con i quali entra in contatto; fino al giovane “Spina”, l’ultimo arrivato, reso celerino “idoneo” con un vero e proprio rito di iniziazione. Uomini mediocri, delusi dalla vita e alle prese con problemi personali, che vedono ogni giorno il marcio della società e tentano il riscatto attraverso l’esaltazione dei propri ideali.
La violenza non risparmia nessuno e si insinua, condita da rabbia e da un sottile filo di razzismo che accompagna tutto il film, tanto nei black bloc quanto negli ultrà, tanto nei movimenti estremisti quanto nei poliziotti stessi, pur sempre esseri umani il cui istinto di sopravvivenza e la prepotenza che respirano ad ogni servizio d’ordine pubblico rischiano di prevalere: «In quei momenti hai il cuore che ti batte forte – spiega Cobra (Pierfrancesco Favino) – l’adrenalina che ti sale a mille, la testa che ti rimbomba dentro al casco, non senti niente, hai solo i tuoi fratelli accanto, solo su loro puoi contare».
Due parti che si scontrano, nessun vincitore. Compaiono tra le pieghe della trama accenni alla morte dell’ispettore capo Filippo Raciti, del tifoso laziale Gabriele Sandri, e i fatti dolorosi della scuola Diaz, durante il G8 del 2001 a Genova: «Ma cos’è successo veramente?», chiede il giovane poliziotto “Spina”; «La più grande cazzata della nostra vita», risponde Mazinga.
Sollima ritorna con “Acab” a mostrare la periferia romana, buia, nuda, spietata, regno della disperazione di sfrattati, prostitute, extracomunitari, rom, balordi. Il tutto rappresentato con giochi di luci e ombre, dettagli sui visi, stacchi improvvisi. Una regia serrata, da strada, e un’egregia colonna sonora.
È sottile e volutamente mal definita la differenza tra vittime e carnefici, tra chi vuole “ripulire” l’Italia e chi crede ancora nelle regole. Mazinga dovrà prendere coscienza di un figlio sedicenne che si sta perdendo nell’odio della discriminazione, e che assisterà poi alla stessa violenza del padre.
Uno spiraglio di salvezza alla fine si intravede, con il riscatto di “Spina”, attutito però dal risentimento dei colleghi che lo chiamano infame. La guerra per Cobra continua, l’armatura è lucida, lo schieramento è pronto, la battaglia può avere inizio.
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un film piu stupido e inutile non potevano farlo!…senza un senso,una morale….solo botte!botte date da 4 cellerini con problemi personali che si sfogano sul lavoro,dando così un’immgine a chi guarda,bruttissima sulla realtà del mestiere del Cellerino!…una finta realtà…tanto perchè di odio non c’e ne già abbastanza!….UNA MERDA DI FILM…NULLA A CHE VEDERE CON “SBIRRI”…che un senso..una morale c’e l’ha!
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non l’ho trovato cosi orribile come lo descrivi tu
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