Dalla Ue una politica d'asilo comune per garantire il “diritto alla mobilità” - Diritto di critica
Una politica d’asilo comune, entro il 2012: lo ha annunciato la Presidenza di turno della Ue, guidata dalla Danimarca. Inoltre, una sentenza della Corte Ue ha rivoluzionato il regolamento “Dublino II”: un richiedente asilo non può essere trasferito verso un altro stato membro in cui rischia di subire trattamenti inumani.
Per la prima volta, l’Europa riflette sulla necessità di promuovere una legislazione sull’asilo più adeguata, che superi i limiti della Convenzione di Ginevra, mettendo da parte la discrezionalità dei singoli stati. Parola d’ordine, garantire il diritto alla mobilità dei migranti in una realtà dove oltre 43 milioni di persone sono costrette alla fuga in tutto il mondo. Lo scorso ottobre, il Parlamento europeo ha approvato la nuova “direttiva qualifiche”: il testo garantisce, ai rifugiati e ai beneficiari di protezione sussidiaria, diritti uniformi per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, l’accesso al mercato del lavoro e gli strumenti di integrazione. Tra i punti principali, la tutela dei diritti dei minori, procedure rapide, eque ed efficaci, il rispetto dei diritti umani dei richiedenti asilo e la semplificazione dell’accesso alla protezione.
Un impegno in perfetta linea con l’appello, lanciato qualche giorno fa da Papa Benedetto XVI, affinché i singoli stati non considerino gli immigrati “soltanto come numeri, ma persone che cercano un luogo dove vivere in pace”. Un percorso iniziato lo scorso giugno, con la proposta – presentata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo – di modifica alla Direttiva del 2005 (relativa alle procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato). Obiettivi, semplificare le norme e renderle compatibili con i diversi sistemi giuridici nazionali e favorire il cosiddetto “frontloading”, mirante a sostenere il richiedente nella comprensione della procedura. Non solo. Se la domanda di protezione internazionale è stata respinta, il singolo richiedente asilo potrà ripresentare la domanda qualora la sua situazione cambi.
In una nota dello scorso dicembre, la Commissione Europea ha proposto di “rafforzare la solidarietà tra gli stati membri nel campo dell’asilo”, facendo in modo che sia “garantita la protezione alle persone in cerca di rifugio”. Inoltre, con una recente sentenza (del 21 dicembre 2011), la Corte di Giustizia Europea ha rivoluzionato il regolamento “Dublino II”, stabilendo che “qualora esista il rischio che un richiedente asilo possa ricevere un trattamento inumano o degradante nel primo stato membro in cui è arrivato, il caso deve essere affrontato nel paese dove è stata presentata la richiesta”. La sentenza arriva all’indomani della decisione della Corte europea che ha dato ragione a 6 rifugiati afgani, iracheni e algerini, che erano stati rispediti in Grecia, dove le condizioni di accoglienza sono pessime, dopo aver effettuato la richiesta d’asilo in Inghilterra e in Irlanda.
Passi in avanti, dunque, che vanno ad inserirsi in un contesto fortemente frammentato e finora incline alla repressione e al controllo, piuttosto che all’abbattimento delle frontiere.
Nel primo semestre dello scorso anno, più del 75% di tutte le domande d’asilo sono state presentate in sei soli stati membri (Francia, Germania, Belgio, Regno Unito, Svezia e Italia), il che significa “che molti membri della Ue avrebbero potuto assumere una porzione molto più elevata di responsabilità”, come sottolineato dal CIR. In alcuni paesi europei emergono diverse criticità nelle singole legislazioni sull’asilo, inasprite negli ultimi anni. Allarmanti i dati relativi alla Francia, con l’aumento del numero degli stranieri espulsi: secondo i dati del Ministero dell’Interno, sono stati oltre 32mila nel 2011; nello stesso anno, sono stati consegnati 182.595 permessi di soggiorno, un dato in calo del 3,6% rispetto al 2010. Inoltre, l’immigrazione detta “professionale” è scesa del 26% in un anno, mentre quella “familiare” del 14%. Senza dimenticare che in Francia, Germania e Inghilterra – come in Italia – esiste il reato di clandestinità. Sia in Francia che in Germania il reato di immigrazione clandestina è sanzionato penalmente. Non migliore la situazione in Inghilterra, dove il governo britannico – per controllare l’ingresso degli stranieri non comunitari nel territorio nazionale – ha introdotto il cosiddetto “sistema a punti”, che limita la possibilità di entrata ai soli lavoratori specializzati nei settori in cui il Paese necessita di manodopera. Secondo una recente ricerca pubblicata dal Mulino, in Italia il reato di clandestinità ha portato a un vero e proprio “flop delle espulsioni”: oggi solo il 28% dei rintracciati viene rimpatriato, contro il 49% del 2003; inoltre, solo un denunciato su cinque viene espulso dal Paese; nei CIE, vengono effettivamente allontanati dall’Italia solo il 38% degli “ospiti”, il livello più basso degli ultimi sei anni. Un aumento delle domande d’asilo è stato registrato, invece, in Svizzera, (+45 per cento circa), raggiungendo, nel 2011, le 22.551 unità (tra le provenienze, soprattutto Eritrea, Tunisia, Nigeria): si tratta dell’afflusso più cospicuo dal 2002 a oggi. Un incremento dovuto soprattutto alla crisi che ha scosso il Nord Africa e alla rotta migratoria che, dallo scorso marzo, ha aperto il passaggio verso l’Europa.