Dal SOPA originale al Sopa nostrano, il governo italiano contro il web - Diritto di critica
di Francesco Formisano
In questi giorni lo sciopero dei tir che hanno paralizzato diverse zone dell’Italia ha guadagnato notevole visibilità nel piccolo schermo come sui giornali. Ma un altro sciopero non meno rilevante lo si è avuto nella scorsa settimana, quando migliaia di siti di tutto il mondo, unitamente a celebri server come Wikipedia e WordPress, hanno sospeso le attività per manifestare il loro dissenso verso i disegni di legge in discussione al Senato statunitense. Il primo dei quali, lo Stop Online Piracy Act (anche conosciuto come Sopa) avrebbe permesso ai detentori di copyright di rivolgersi a un tribunale per bloccare la diffusione di file non autorizzati, e i siti giudicati colpevoli potrebbero essere oscurati e rimossi dai motori di ricerca. Il Protect Ip Act (noto anche PIPA) invece, avrebbe colpito i siti stranieri rei di commettere pirateria online, “allargando” la disposizione precedente oltre il territorio statunitense per esercitare un contrasto alla pirateria digitale in tutto il mondo. Proprio grazie allo sciopero, seppur parziale, di altri giganti del web come Google, Facebook e Amazon, i due progetti di legge sono stati per ora riposti nel cassetto.
A quanto pare, però, non è bastato aver ritirato – “momentaneamente”, per ammissione del primo firmatario Smith, deputato repubblicano – il Sopa ed è cronaca di pochi giorni fa che l’Fbi ha disposto la chiusura del celebre sito di condivisone Megaupload.com, ordinando l’arresto di Kim Schmitz, (in arte Kim Dotcom) e altri manager del gruppo con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’estorsione, al riciclaggio e alla violazione del diritto d’autore e disponendo inoltre, la chiusura dei diciotto siti del gruppo, da Megavideo in giù (come riportato su dayliwired.it). Megaupload è un sistema che contava su oltre 150 milioni di utenti registrati, e secondo le accuse la compagnia avrebbe realizzato dei ricavi per circa 175 milioni di dollari, derivanti da banner pubblicitari ed utenze premium, causando una mancata ricezione per i detentori dei diritti di copyright per una cifra intorno ai 500 milioni di dollari.
Neanche il tempo di sviare l’attenzione verso altri fronti, che un progetto di legge liberticida, ribattezzato il SOPA italiano, è stato presentato anche nel nostro Paese a firma dell’onorevole Fava (Lega Nord); l’emendamento, approvato già dalla Commissione per le politiche comunitarie la scorsa settimana, permetterebbe a chiunque di avanzare la richiesta di rimuovere un qualsiasi contenuto dalla rete per il sospetto che violi materiale protetto da copyright. Come sottolinea l’avvocato Guido Scorza questo disegno di legge costituirebbe “un’inaccettabile forma di privatizzazione della giustizia: la permanenza o meno di un contenuto nello spazio pubblico telematico non dipenderà più dalla decisione di un Giudice ma da una semplice segnalazione di un singolo”
L’associazione Agorà Digitale, sempre impegnata sulle politiche digitali, ha da subito lanciato una petizione per chiedere ai parlamentari di cancellare tale emendamento che, in contrasto con le direttive europee, vorrebbe obbligare i siti ad applicare un filtro preventivo ai contenuti pubblicati dagli utenti, rimuovendoli per il semplice e banale motivo che essi possano causare fastidio ai diretti interessati.
Da registrare, però, un nugolo di voci contrarie tra i parlamentari che – per la maggior parte – ieri si sono già espressi in modo bipartisan contro l’emendamento, Lega Nord esclusa e PdL compreso. Il 31 gennaio si deciderà il futuro dell’emendamento che vorrebbe porre limiti e paletti a uno strumento di informazione e lavoro di per sé illimitato.