L'Onu avverte l'Italia, nel Bel Paese le donne sono lontane dalla parità - Diritto di critica
Le donne in Italia vivono ancora troppe discriminazioni e situazioni di violenza. È l’allarme lanciato dal Comitato Cedaw, l’organismo dell’Onu per il riconoscimento e la difesa dei diritti delle donne che ha presentato alla Camera dei deputati le valutazioni sul rapporto “ombra”, relazione che fotografa il benessere delle donne e si affianca all’ufficiale rapporto redatto dal governo.
Grazie all’apporto di numerose Ong specializzate del settore (per esempio Fondazione Pangea, Actionaid, Associazione Differenza Donna e altre), infatti, i rilevatori del Comitato, dopo sei mesi di lavoro, hanno avuto ben chiaro il quadro della situazione femminile italiana, e invitano ora il nostro Paese a ratificare quanto prima la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne, firmato da dieci Paesi Europei lo scorso maggio a Istanbul.
L’appello più accorato arriva da Violeta Neubauer, membro del Comitato Onu incaricato di vigilare sull’applicazione della convenzione internazionale Cedaw, convenzione nata all’Assemblea Onu nel lontano 1979, e da noi firmata nel 1985: «L’Italia deve fare molto di più – spiega – c’è uno scarto tra la legge e la sua esecuzione che va colmato, le donne non devono essere il problema, ma la soluzione per un Paese».
I dati parlano chiaro: rispetto alla normativa guida che le Nazioni del mondo dovrebbero seguire, in Italia persistono stereotipi e discriminazioni nel welfare, nei diritti sessuali e sulla salute riproduttiva, e gravi patologie sociali come la tratta, la prostituzione.
Questo il passaggio chiave del rapporto: «Il Comitato è preoccupato per la rappresentazione della donna quale oggetto sessuale e per gli stereotipi circa i ruoli e le responsabilità dell’uomo e della donna nella famiglia e nella società. Tali luoghi comuni, contenuti anche nelle dichiarazioni pubbliche rese dai politici, minano la condizione sociale della donna, come emerge dalla posizione svantaggiata in diversi settori». Ci vengono in mente la cupa situazione del mercato del lavoro, l’accesso alla vita politica e alle cariche decisionali.
Basta qualche cifra per rendersi conto: la pensione delle donne è in media più bassa del 30,5% rispetto a quella degli uomini, e le libere professioniste non godono di minime tutele in materia di maternità e di cura dei figli. In Parlamento il contributo femminile è appena il 20%, una delle percentuali più basse in Europa e nel mondo. Stessa situazione nelle Università, dove le donne laureate sono in maggioranza (58%), ma la percentuale di ricercatrici cade al 40%, e quella delle professoresse ordinarie è al 12%.
In Italia non si investe in rosa, quindi, ma si continua a raffigurare la donna, vedi la televisione o le pubblicità, come un corpo, un oggetto sessuale, o al massimo una brava mamma di famiglia.
La donna non è solo penalizzata, ma resa anche vittima della violenza maschile. Violenza inaudita verso donne e bambine, che rappresenta la prima causa di morte in Italia per l’universo femminile che va dai 15 ai 44 anni.
Il Comitato Cedaw ha chiesto all’Italia di cambiare registro e attenersi alla convenzione mondiale, riferendo dei progressi raggiunti ogni due anni, e non più quattro come si era fatto finora. Tra le raccomandazioni anche quelle di seguire appositi codici di condotta e fornire maggiore assistenza in termini sanitari, logistici e psicologici a quelle donne che decidono di scappare dalla violenza o denunciare abusi e soprusi.